L’atto conclusivo della vicenda Dream Syndicate è un disco che parla di fantasmi.
Fantasmi che hanno un nome e un cognome, come chiarito dalla copertina:
Steve Wynn, Paul R. Cutler, Mark Walton, Dennis Duck.
Ghost Stories chiude nella maniera più scontata una delle più belle storie del rock americano degli anni Ottanta con la cosa più brutta che si possa chiedere ad un gruppo psichedelico: un disco ordinario, oleografico e banalmente muscoloso.
La band che aveva sfidato la new wave riempendo l’aria di chitarre acide e nervose, che aveva teso un’imboscata al rock spingendone la carovana fino al luogo prescelto per l’agguato, lasciandolo sbranare dai canini strappati dalle bocche di Velvet Underground e Television se ne andava via con un paio di ballate al pianoforte come Whatever You Please e l’opprimente Someplace Better Than This, con un orribile boogie figlio degli Status Quo come Weathered and Torn, una I Have Faith che sembra caduta dal secondo album dei Commotions di Lloyd Cole senza che nessuno se ne accorgesse, una parodia della musica da saloon come My Old Haunts e una versione tutta testosterone di See That My Grave Is Kept Clean e la sommessa e amara When the Curtain Falls che prova a ritirare su il manichino di Neil Young senza riuscire a sorreggerlo.
Il sogno è finito.
Ci si alza e si va tutti a casa. Ognuno nella propria. Con l’augurio sotteso che sia lontana da quella degli altri.
Il vino è finito e le rose appassite.
E i fantasmi non riescono più nemmeno a farci paura.
Franco “Lys” Dimauro