MANU CHAO – Clandestino (Virgin)  

È il 1998 quando l’industria del disco trova finalmente una nuova icona, stavolta vivente, da dare in pasto al transumante popolo abbandonato dall’icona Bob Marley e ai figli di quel popolo che di Marley si sono nutriti dello spirito e delle parole, non potendosi nutrire della carne.

Il nuovo eletto si chiama José-Manuel Thomas Arthur Chao ed ha già girato mezzo mondo assieme al fratello Antoine alla guida di una band chiamata Mano Negra, nascosto sotto il nome di Oscar Tramor, traducendo in malo modo uno dei testi di Irma Serrano. Anche allora gli avevano dato una staffetta in mano, cercando di chiamare la sua band a raccogliere il testimone dei Clash bastardi di Sandinista!. La Mano Negra aveva corso qualche altro chilometro inneggiando a Zapata e Maradona, poi aveva gettato il testimone nelle acque della Senna.

Del suo rientro in scena pare non accorgersi nessuno. I suoi primi singoli (Clandestino, Desaparecido e Mentira), destinati a diventare mesi dopo dei tormentoni che ancora oggi resistono all’usura del tempo, non se li fila nessuno. Ma le radio, spinte dalla Virgin Records a mettere in heavy rotation quei brani farciti di chitarrine e fischietti, fanno lentamente esplodere il fenomeno Manu Chao, che diventerà tale l’anno successivo, portando (in ritardo clamoroso) il suo album nella Top 20 di almeno cinque stati, Italia compresa esportando, oltre a una musica meticcia e terzomondista, un “sentimento” di inadeguatezza culturale/politica/sociale (il mito del clandestino, del rifugiato, dell’esiliato, dei gitani erranti, del migrante apolide), un deciso sentimento pacifista, multietnico e no-global e un vago aroma da busker che ben coglie lo spirito errabondo che affascina e nutre da sempre le giovani generazioni. Manu Chao è insomma un po’ il nuovo Bob Marley, un po’ la vetta più bassa dei monti Illimani e un po’ il nuovo adesivo del “vagabondo” da attaccare sul culo della Vespa. Le canzoni di Clandestino, tanto minimali nelle scelte armoniche quanto colorate come un carnevale carioca, piene di richiami al tex-mex e alla musica caraibica e sudamericana, vengono non solo accostate ma sovrapposte, intrecciate e “stratificate” una sull’altra, richiamandosi a vicenda e creando un vivacissimo e avviluppato vivaio di spezie. Alcune legali. Altre, ahimè, no.    

 

                                                                                              Franco “Lys” Dimauro

 

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