THE VERVE – Urban Hymns (Hut)

Nonostante dei blockbuster come Ok Computer, Be Here Now e Blur, il vero colossal del brit-pop del 1997 si intitola Urban Hymns ed è opera (la terza) dei Verve, appena riabbracciatisi dopo la scissione temporanea a valle di A Northern Soul.

I Verve riaffiorano dunque dai vortici psichedelici dentro cui erano naufragati e riemergono statuari come dei Bronzi di Riace, al cui cospetto il mondo si genuflette incantato tendendo le mani per lucidargli i genitali.

Il punto di svolta, quello attorno cui ruota Urban Hymns e il singolo che lo annunciava al mondo, era stata History, la ballata di fragole e miele pubblicata come ultimo estratto dall’album precedente e sulla quale, in un’accidentale caparra sulla storia, Liam Gallagher batteva le mani.

È quel tipo di orchestrazione Liberty che Youth e Chris Potter, chiamati a produrre il nuovo album, vogliono usare come punto di partenza per la svolta pop della band, come pista magnetica sulla quale attaccare la voce calamitata di Richard Ashcroft, tirandola fuori dai gorgoglii psichedelici dentro cui era stata immersa troppo a lungo. Quello diventerà lo standard per tutte le produzioni dei Verve e per i dischi solisti del loro vocalist da lì in avanti, il “suono dei Verve”. Con buona pace dei lampi hendrixiani e zeppelliniani che gli si riversano sopra rifiutando di essere oscurati dai violini, come succede anche qui nella coda memore della The Four Horsemen degli Aphrodite’s Child di The Rolling People o su Come On.

L’effetto è quello di un incendio domato. Del rassicurante, avvolgente, consolatorio abbraccio salvifico del pericolo appena scampato.

Lenitivo come l’unguento iperico dopo una ferita, Urban Hymns è la leccornia pop britannica che tutti si aspettavano, dopo il crescendo dello scontro fra Oasis e Blur e prima che la stella cometa si spostasse a Devon, sulla casa natale di Chris Martin per annunciare la nascita del nuovo Profeta.

Il brit-pop poggia le caviglie sui reggicosce del lettino dell’ostetrico e si lascia scrutare dentro.   

       

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

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