Nella metà degli anni Sessanta l’Italia diventò la terra promessa dei capelloni europei. Gente come Sorrows, Primitives, Antoine, Rokes, Dave Anthony, Ricky Shayne, Renegades, Mike Liddel, Rocky Roberts e Nino Ferrer conquistarono quel che c’era ancora da conquistare dopo il passaggio dei Beatles. Qualcuno rimarrà qui, ospite perenne dei programmi sui “fantastici anni Sessanta” e delle piazze dei paesini che non potendo permettersi grossi cachet rallegreranno sagre e serate estive dei cittadini sotto l’ombrello largo della nostalgia. Non così per Ferrer che lascerà l’Italia proprio dopo la registrazione di questo Rats and Roll’s tornando in Francia a fare musica sempre più raffinata prima di farsi saltare le cervella alla vigilia dei suoi 64 anni. I fantastici anni ’60, per l’ultima volta.
Rats and Roll’s è un disco paurosamente bello. Registrato dal vivo ai margini del decennio, lo si penserebbe un disco di grandi successi (e di grandi successi Ferrer ne aveva avuti parecchi) ma invece ad esclusione della inevitabile La pelle nera, è invece un album ambiguo, sofisticato, ironico e insolente. Ipnagogico già dalla copertina, è un disco in cui il rhythm ‘n blues scolorisce nel prog e nel jazz elettrico e in cui il biondo cantante francese si diverte a parlare di tutto con sarcasmo pungente. Del potere oppiaceo delle droghe che ti rendono cieco delle brutture del mondo, della censura RAI, dei compromessi artistici, della sua stessa condizione di nomade del successo (“Fratelli, un po’ facciamo i conti. Che siam venuti a fare qui? Vivere un po’, ridere un po’, amare un po’, soffrire un po’, piangere un po’, morire un po’. Perché?”), delle utopie pacifiste e proletarie dietro cui molti si sono arricchiti finendo per diventare più borghesi della classe che volevano rovesciare.
Finito tutto, Ferrer toglie la bandiera, si sistema il foulard e lascia il Belpaese al suo vaso di cicuta degli anni Settanta.
Franco “Lys” Dimauro