CCCP FEDELI ALLA LINEA – Felicitazioni! (1984-2024) (Interno4 Edizioni) / CCCP FEDELI ALLA LINEA – Felicitazioni! (1984-2024) (Universal)

0

Chi dovesse acquistarlo, a caro prezzo, pensandolo come un libro-confessione, resterà deluso nell’apprendere che Felicitazioni! non è altro che il catalogo dell’omonima mostra che celebra, alla soglia del loro quarantennale, la storia dei CCCP Fedeli alla Linea: foto, ritagli di giornali, reclame, copertine, costumi di scena e tutto l’arsenale di “propaganda” usato dalla band emiliana durante i suoi sei anni di produzione discografica, con un occhio particolare ai primi quattro, ovvero quelli in cui la componente visiva ed iconografica fu sfruttata come chiave d’accesso al loro mondo culturale che fondeva la storia padana con quella bolscevica, il Mediterraneo con il Mar Nero, il medio oriente con la Lapponia, astronauti e samurai, Togliatti con Majakovskij, la Fiat con le Trabant, falce, martello e salmi. Un azzardo, ma un azzardo riuscito, che è adesso il momento di festeggiare cercando da un lato di sanare dissidi lunghi un trentennio e dall’altra musealizzandone la storia.

L’omonimo cofanetto della Universal ne offre un compendio musicale, sfruttando l’occasione per vendere a prezzi da nababbi spillette, foto e cartoline a corredo di una selezione di diciotto brani che invece cercano una mediazione più equilibrata con la seconda fase del gruppo, dettata più dalle solite logiche commerciali che altro (e che, ci facevamo scappare il duetto con Amanda Lear, le pluridecorate Annarella e Amandoti, il corale cattolico di Madre?), con la band che si diverte addirittura, in uno scatto inedito, a vestire gli stessi cenci indossati all’epoca di Epica Etica Etnica Pathos.

I CCCP diventano merce da mettere nel carrello.

Il passato è afflosciato
Il presente è un mercato
Fatevi sotto bambini
Occhio agli spacciatori
Occhio agli zuccherini.

 

                                                                     Franco “Lys” Dimauro

TEENAGE HEAD – Teenage Head (Inter Global Music)

0

Sembrano i Damned ripuliti dalla schiuma da barba, i Teenage Head che sorridono dalla copertina del loro album di debutto. Poi giri la cover e te li ritrovi ripuliti anche dal gel, coi capelli sciolti sulle spalle, un doppio filo di eyeliner, cuciti dentro giacche, giubbotti, jeans e cravattini che sono un omaggio alle pratiche estetiche e stilistiche del proto-punk, a quel che puzzava già di strada e di birra scadente. Ecco, quello è il mondo dei Teenage Head, un mondo dove il rock and roll è un allegro bivacco accanto ad un muro scrostato, una lunga catena di accordi che dalla loro lancia finisce fin dentro le acque degli anni ’60 e ’50, una serie di “little boxes” dove non c’è spazio per quello che è già stato corrotto dal mondo adulto e dove i beni di prima necessità sono quelli già miticizzati dai Dictators.

Bonerack, Top Down, Curtain Jumper, You’re Tearin’ Me Apart, Picture My Face, Lucy Potato, Ain’t Got No Sense riaggiornano l’abbecedario del punk canadese secondo quelle coordinate che furono appunto dei Dictators, dei Real Kids e dei Ramones con un piglio di amabile strafottenza e di ingenua ma tenace fede nella capacità salvifica del rock and roll.  

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

U.K. SUBS – Another Kind of Blues (GEM)

0

All’epoca, nel 1979, non si sapeva ancora, ma gli U.K. Subs si erano già messi in testa di stare sulle scene un bel po’, tanto da immaginare una discografia (lunghissima, come si sarebbe rivelata) organizzata in rigoroso ordine alfabetico.

La stagione delle band da un disco e via era evidentemente già passata, e gli U.K. Subs erano arrivati, subito dopo il punk, a suonare punk per sempre. Rendendolo in qualche modo immortale: “un altro tipo di blues”. E il blues c’era davvero, oltretutto, nascosto fra le ance dell’armonica di Charlie Harper, che l’armonica la portava un po’ anche nel cognome. E ogni tanto (World War, I Couldn’t Be You) cacciarla fuori per aggiungere una spezia al suono legnoso e squadrato della sua band che raramente si concede qualche distrazione. Another Kind of Blues procede veloce verso lo schianto, sfiorandolo di un soffio su Crash Course ma centrandolo in pieno cento metri più avanti, nella folle giravolta hardcore di Disease.

Poi, i quattro teppisti londinesi stappano la loro cassa di birra doppio malto e saltano sul cofano di quel che resta, intonando Stranglehold, l’ultimo inno punk inglese degli anni Settanta. Noi, saltiamo con loro.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

RED ROCKERS – Condition Red (415)

0

Dopo due anni di fogne, i Rat Finks avevano deciso di esplorare la superficie. Rubando il nome ai Dils e tutto il resto ai Clash, i Red Rockers si apprestavano a diventare, di questi ultimi, la copia americana. A quel punto la band ha già messo armi e bagagli in un furgone e lasciato la natia New Orleans per approdare a Los Angeles ed è lì che rielaborano il proprio suono riadattandolo alla perfezione al punk-rock britannico di band come Clash, Stiff Little Fingers e Generation X e che allacciano legami con la scena locale, finendo per convincere Jello Biafra ad agguantare il microfono per la cover di Folsom Prison Blues obbligandolo a “non fare” Biafra. Negli anni seguenti quel suono sarebbe stato ulteriormente rielaborato aderendo ad una pacata linea new-wave di facilissimo ascolto ma Condition Red, al di là delle paternità manifeste, resta un disco di granitico combat-punk zeppo zeppo di anthem di impatto come Guns of Revolution, Condition Red, Teenage Underground, Hold On, Can You Hear, Peer Pressure e la veloce corsa di Grow Up che in molti si dimenticheranno di ricordare quando si tratterà di mettere su le tante, stiracchiate, ridicole e sempre più inutili storie del punk di Los Angeles. Voi smettetela di tenere il naso su quella merda e tornate ad annusare dove altri non osano.   

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

SCREAM – This Side Up (Dischord)

0

Una seconda chitarra e la musica degli Scream prende il volo dal nido hardcore. La velocità resta uno dei tratti peculiari del gruppo di Washington (Things to Do Today, A No Money Down) ma è sull’elemento melodico che la band sta adesso lavorando, soprattutto dal punto di vista vocale ma cercando di evolvere dal ferreo stile hc del disco d’esordio in una dimensione dialogico/sinergica che ricorda quella di Strummer/Jones dei Clash. Anche l’elemento reggae, mutuato dai concittadini Bad Brains è adesso sviluppato in maniera più morbida e definita, quasi rocksteady oppure filtrato attraverso l’ottica disco-dub di Sandinista! (nella Walking Song registrata nell’aprile dell’85 assieme a Don Zientara e Ian MacKaye ma poi esclusa dal disco).

Una delizia come I Look When You Walk, impensabile fino ad un anno prima, diventa il nuovo paradigma del punk melodico degli Scream, sporcandosi di granelli di saccarosio ma evitando il rischio di finire dentro la zuccheriera per non uscirne più, come accadrà alla gran parte delle band che da questo e altri trattati costitutivi dell’hardcore melodico trarranno benefici ed ispirazione. Urlando un po’ di meno e cercando riparo dalla sassaiola hardcore gli Scream si consegnano alla storia della città.       

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

WINE LIPS – Mushroom Death Sex Bummer Party (Stomp)

0

Il suono è vicino a quello tagliente degli Hives, con appena una patina di unto che sembra ereditato dal sound hot-rod di una band come i Fu Manchu. Quello della band dell’Ontario è insomma un trionfo di garage rock zebrato stoner che potrebbe penetrare il mercato grazie alle piattaforme televisive che ne hanno acquisito i diritti per usarne i brani, come per la quinta stagione di Lucifer.

Nel frattempo dall’iniziale e spartano progetto iniziale, i Wine Lips hanno incrementato non solo la fan-base ma anche il numero di musicisti, diventando un quartetto e inserendo basso e synth in pianta stabile, dinamizzando il loro suono e rendendolo un po’ più attuale, pur nella riproposizione di vecchi cliché. Tanto da correre il rischio di puzzare un po’ di carne sintetica a chi come me preferisce i suoni meno à la page ma sicuramente più graffianti del garage rock primevo e i tacchi cubani alle ghette. Ma se siete fra quelli che pensano che gli Hives siano un gruppo garage-punk (e siete in tanti, pur se in pessima compagnia, NdLYS), accomodatevi tranquillamente.   

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE EXPLOITED – Punks Not Dead. (Secret)

0

Wattie Buchan, nativo di Edimburgo, sarebbe diventato con la sua altissima cresta colorata il “Grand Camée” di tutto il punk britannico dagli anni Ottanta in poi, Punks Not Dead., il disco di debutto dei suoi Exploited il titolo più citato, spesso senza neppure conoscerne la fonte, sui muri delle città per rivendicare la vita eterna del punk dopo la deflagrazione dei loro primi eroi Sex Pistols. Gli Exploited erano stati chiamati in qualche modo a raccoglierne l’eredità, portando il genere verso le nuove forme che il punk andava assumendo che erano innanzitutto quelle dell’hardcore ma anche dello street-punk poi formalizzato nell’Oi!, alla cui estetica però gli Exploited non avrebbero mai aderito, prediligendo la velocità al corporativismo.

Gli Exploited annientano ogni concetto di “post-punk”: dopo il punk, può esserci solo il punk. Forse ancora più estremo, forse più caricaturale, più esacerbato, più grottesco, più approssimativo e violento ma ancora punk nella forma e nella struttura. Il loro esordio dimostra in quindici canzoni che durano ognuna meno della metà dello sviluppo di un’istantanea Polaroid, sostenute da un riff essenziale e da un cantato in cui l’espressività è ridotta a quella di un corteo politico che, esaurita la carica di novità, il punk sarebbe sopravvissuto riciclando in eterno la sua idea base.    

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE SCIENTISTS – The Scientists (EMI Custom)  

0

I dischi classici sarebbero arrivati dopo. Così come il suono swamp per cui poi passeranno alla storia. L’album di debutto degli Scientists di Perth era invece erede diretto del punk. E del resto Kim Salmon veniva direttamente da lì, dalle fila dei Victims, dei Cheap Nasties, degli Invaders. James Baker e Ian Sharples analogamente da lì. E così tutta la cricca che in qualche modo contribuisce a tirar su pezzi sufficienti per mettere in piedi un album completo, dopo due singoletti di culto: Dave Faulkner, Boris Sujdovic, Ross Buncle, Rod Radalj.

The Scientists si muove nell’immaginario di ribellione giovanile, weekend alcolici e amori tossici tanto caro a gente come Johnny Thunders, Ramones, Buzzcocks e Undertones e del veleno che si verserà copioso sin dai titoli della produzione successiva non c’è ancora traccia così come dalle atmosfere soffocanti e fangose cui il loro nome verrà associato.

Siamo allo zenith del teenage-punk australiano. Zuccheri facili da assimilare e metabolizzare. L’anello perfetto della catena alimentare che porta dai Victims a Le Hoodoo Gurus.

                                                                       Franco “Lys” Dimauro

SLAUGHTER AND THE DOGS – Do It Dog Style (Decca)

0

Mick Ronson era l’eroe di Mick Rossi. L’uomo dalle forti braccia che lo aveva ispirato in tutto, anche nella scelta del nome della sua band. E alla fine, quando era giunto il momento di mettere mano ad un intero album sponsorizzato addirittura dalla Decca, Mick era riuscito a trascinare il suo eroe in studio per dargli qualche dritta durante le registrazioni e, quando le ditte non bastavano, ad imbracciare la sua chitarra per dare ai pezzi la giusta inclinazione.  

Autori di uno dei più grandi anthem punk dell’anno precedente (e, aggiungo, di tutta la storia del punk britannico, NdLYS), Slaughter and The Dogs sono in realtà già a corto di idee e Do It Dog Style vive in realtà di luce riflessa, come se lo specchio magico di Cranked Up Really High si fosse frantumato e la band adesso cercasse di mettere insieme i cocci in un grande mosaico di vetro riflettente. Il risultato non è un potenziamento di quella prima, folgorante esplosione di luce ma il rielaborato di una sua porzione di riverbero luminoso riprodotto una dozzina di volte. Il risultato tuttavia è più che dignitoso, con la sua carica hooligan vicina a quella dei Pistols e i suoi richiami al passato manifesti (Who Are the Mystery Girls, Quick Joey Small, I’m Waiting for the Man) o sottesi (il glam alla Spiders from Mars di Keep on Trying, la forza centripeta alla MC5 di You’re a Bore) e una nuova serie di maniacali e sguaiate smorfie come Boston Babies, Victims of the Vampire, I’m Mad, We Don’t Care.

Slaughter and The Dogs costruiscono il ponte fra il glam-rock e il punk. Poi, una volta passatici sopra, lo bruciano.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

BUZZCOCKS – A Different Kind of Tension (United Artists)

0

Dopo il quadrato di Another Music in a Different Kitchen e il tondo di Love Bites, nel settembre del 1979 è la volta del triangolo di A Different Kind of Tension, il disco che ad un anno esatto dal precedente mostra una ispirazione ancora intatta e prodigiosa. Dentro, come nella tempesta di Giorgione, il cielo è ancora spaccato da folgori punk capaci di spaccare i sassi (Mad, Mad Judy su tutte) ma la maestria impareggiabile della band nel creare cortocircuiti melodici riesce sempre a “mettere a terra” quella grande scarica elettrica.

Nella seconda facciata del disco si registra invece il tentativo di evolvere ulteriormente il proprio suono, pur senza rinnegare la loro identità. La lunga conclusione di I Believe si protrae per sette minuti dei quali quattro sono riservati alla ripetizione ad libitum della sibillina frase There is no love in this world anymore, nascondendo come oltre all’amore il mondo stesse per perdere i Buzzcocks stessi. Che in fondo potrebbero essere la stessa cosa, o forse no.

Arrivati in formissima alle porte degli anni Ottanta, i Buzzcocks cominceranno a zoppicare subito dopo. Decidendo che era meglio non farsi vedere in stampelle, come invece avrebbero fatto tanti punkers meno scrupolosi.

It’s the Buzz, Cock!

                                                                                    Franco “Lys” Dimauro