THE KING KHAN & BBQ SHOW – What’s for Dinner? (In the Red)

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Dopo il primo pasto del 2005 la cena viene servita l’anno successivo. Per l’occasione King Khan si è vestito da drag-queen e BBQ, ovviamente, da sultano. Sono gli avanzi del pranzo, che era già un pasto di avanzi. Panni soul sciolti nella varichina, stracci rock & roll logori e consunti. Qualche lentaccio da struscio (ricordate i Creeps di Darlin’? Ecco, quel genere di cose lì) e tanto rock and roll sornione e beffardo che cerca di sconfinare nel punk da garage in almeno un paio di occasioni. Nel country da galera in almeno un altro paio.

L’unica regola è non avere regole. O perlomeno attenersi a quelle sommarie dettate dall’amore per le frattaglie del rock, gli avanzi dei pasti ricchi con cui le rockstar sono diventate obese o cocainomani.

Uno spettacolo di viscere e liquidi corporali. Ecco cosa c’è per cena.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

 

SLINT – Spiderland (Touch and Go)

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Muscoli atrofizzati e un filo di voce, un bisbiglio.

Come se il mondo intero stesse per andare a letto, o si stesse per svegliare.

Senza fretta.

Gli Slint firmano il loro capolavoro e poi sprofondano nell’acqua, dopo un ultimo sorriso. Il suono di Spiderland è come sospeso su una sottilissima tela sonora che trascende ogni concetto di riff e di progressione armonica per diventare uno stato d’animo. Una presenza che può concedersi il lusso di scomparire del tutto, diventare evanescente, riaffiorare come certe malinconie che ti sorprendono proprio quando provavi a schiacciarle all’angolo, morire davanti ai tuoi occhi come nei nove minuti drammatici di Washer, forse la più grande preghiera d’addio scritta negli ultimi cinquant’anni, di sicuro uno dei più grandi capolavori della musica indie degli anni Novanta.

Siamo già dentro al post-rock, sebbene verrà codificato come genere solo tre anni dopo. Spiderland ne rappresenta la deflorazione, la nascita, l’atto fondativo, anche se siamo già alla sua apoteosi.

Un disco che pretende volumi altissimi come i classici del rock ma stavolta per poterne afferrare i silenzi e le pause invece che la stordente fisicità dei riff. Per potersi meravigliare dell’ordinario, come a volte ci si meraviglia di un abbraccio, talaltra delle lacrime.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

SWELL – Too Many Days Without Thinking (Beggars Banquet)

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Essere i dEUS prima dei dEUS.

Senza avere il successo dei dEUS.

Questo il destino degli Swell di San Francisco, attivi dall’inizio del decennio e giunti, incorrotti, al quarto album.

Too Many Days Without Thinking è, se volete, il riassunto della prima metà degli anni Novanta: i Pavement, i Dinosaur Jr, Beck, i Red House Painters, gli American Music Club, i dEUS, i Built to Spill, i Buffalo Tom, i Ween, i Camper Van Beethoven ma è soprattutto l’ennesimo capolavoro di una band che non ha mai ottenuto quello che avrebbe meritato, nonostante il sostegno di etichette come la Def American prima e la Beggars Banquet adesso, probabilmente dovuta alla scelta di apparire oltremodo dimessa o di non apparire affatto. Acquistare un loro disco è dunque, in primis un atto di fiducia. O un azzardo. In ogni caso, senza mai portarsi a casa una delusione ma piuttosto canzoni dalla pelle di daino come (I Know) The Trip, Throw the Wine, At Lennie’s, What I Always Wanted, Going Up (to Portland) con cui potete asciugare la vostra carrozzeria o coprirvici quando arriverà il Generale Inverno.

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

STEWED – Ahead of Confusion (Twist)

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Per il secondo album il suono degli Stewed si fa ancora più compresso pur senza perdere le sue squame stoogesiane ma “corazzandole” in una sorta di tuta proto-stoner che è in realtà una maglia di ferro heavy-blues che solo nell’ultima That Ain’t No Crime il terzetto inglese sceglie di sfilarsi di dosso per mostrare il proprio tatuaggio degli Yardbirds. Dall’iniziale I Want In fino ad Howlin’ & Wantin’ è invece tutto un viaggio dentro mulinelli di lava urticante, un garage punk morlocksiano flagellante e immondo, con rivoli come Said Come On e Freedom Express capaci di trascinarti giù fino ai piedi del principe Beelzebub con immane ferocia animale.

Se avete la pelle delicata e sensibile agli acidi, state lontani da qua.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

BOB MOULD – The Last Dog and Pony Show. (Rykodisc)  

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Pensato come passo indispensabile verso quella rivoluzione personale perseguita più a livello ideologico che musicale, The Last Dog and Pony Show. è vittima del black out della buona stella sotto cui era nato. L’esigenza di sperimentazione di Bob Mould deve infatti fare i conti con la distrazione maldestra di qualche tecnico di studio che cancella senza possibilità di recupero i master originali registrando su quei nastri le piste di chitarra e voce di Mould che a quel punto diventano invece la traccia definitiva, facendo sfumare il progetto originale senza possibilità di appello.

Ma forse, è meglio così.

Perché laddove Mould prova a segare le sbarre di quella che avverte sempre più come una prigione stilistica, i risultati sono catastrofici. Fortuna che il danno è limitato ai pochi minuti di Megamanic, un “fuori contesto” incomprensibile ma perdonabile. E ci lascia la convinzione che chi ha distrutto quei nastri, alla fine, lo abbia fatto per una buona causa. Il resto dello “show” è invece Mould-style al 100%, con le chitarre che ruotano attorno ad un’idea di pop-punk semplice ma efficace. Ecco dunque Reflecting Pool, Taking Everything, Classifieds e i nidi di ovatta di Moving Trucks, Vaporub, Along the Way, New #1 ad arricchire un catalogo già stracolmo di delizie cui continuiamo a porgere le nostre non più pargolette mani.

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

 

LOVE – Out Here (Blue Thumb)

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Quando si presenta alla firma del contratto con la Blue Thumb Arthur Lee porta una cornucopia di canzoni, nonostante fossero passate poche settimane dalla pubblicazione di Four Sail. Il materiale è talmente tanto che l’etichetta decide per un album doppio, probabilmente senza neppure ascoltare attentamente. L’avessero fatto si sarebbero accorti che quello che stavano per pubblicare era un disco dispersivo e scollato. Un disco che cerca di raccogliere la sfida del blues-rock pirotecnico di quegli anni (basti pensare allo straripante e noioso solo di batteria di Doggone che pesta ben altro che le pelli per più di otto minuti o alle mostruose divagazioni chitarristiche di Love Is More Than Words or Better Late Than Never, NdLYS) ma che si porta anche il fardello di musiche vecchie e stantie come il country-rock, l’R&B e addirittura il gospel e il doo-wop senza curarsi di omogeneizzare le due (e più) anime.

Ma è forse anche vera un’altra ipotesi, ovvero che Bob Krasnow e Tommy LiPuma, le menti dietro la Blue Thumb, i provini li avessero ascoltati eccome. E che li avessero trovati in sintonia con un catalogo ancora minuscolo ma che aveva già stampato dischi come Stricly Personal di Capt. Beefheart, Political Pornography dei Credibility Gap o l’esordio della Aynsley Dunbar Retaliation. Dischi dove la sottigliezza estetica, come nel caso del nuovo corso dei Love, non è contemplata. Dischi, ancora una volta come questo, sfibranti. Come un viaggiatore nel deserto Arthur Lee sembra correre dietro cento miraggi diversi, perdere il fiato, cercare di tornare da dov’era partito e poi smarrirsi di nuovo. Lo fa forse consapevolmente, ma lo fa. E noi facciamo fatica a stare al suo passo e a suggerirgli che forse quel che sta inseguendo è qualcosa che alla fine lo sfiancherà.   

 

                                                                                   Franco “Lys” Dimauro

 

MAGAZINE – Secondhand Daylight (Virgin)

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Secondhand Daylight estremizza la vocazione arty già presente nel debutto dei Magazine. Lo “stiracchia” anche fisicamente, lo trascina verso quelle forme di rock complesso e intellettualoide che in qualche modo il punk aveva voluto rinnegare.

Si finisce in qualche modo a pestare qualche cacca di quelle che avevamo disimparato ad amare e che sopravvivevano ancora sui solchi di Roxy Music e David Bowie, per chi aveva voglia di sistemarli ancora sul piatto. Se non addirittura su quelli dei Van Der Graaf Generator o dei Pink Floyd di Animals.

L’aria di Secondhand Daylight è di decadente déjà-vu: armati di scovino, i Magazine costruiscono un tunnel verso il nuovo scavando direttamente dentro la pancia del passato, tirandosi fuori dal punk dalla strada d’accesso piuttosto che da quella di uscita introiettando tutta la logorrea severa di cui i Buzzcocks avevano voluto fare piazza pulita.

Boredom—boredom.   

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE MYSTREATED – Looking Right Through (Twist)

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Un secondo album complessivamente bello quanto il primo, quello dei Mystreated, carico di una potenza simile a quella dei Birds, seppur sviluppata in direzione freakbeat (la magnifica Flowering Seeds o la The Widow’s Son che paga il suo giusto tributo agli Stones di Paint It Black) e che tuttavia mostra qualche incertezza quando si tratta di “alleggerire il carico” e di mettere a nudo l’amore per il folk che da sempre anima la band, come nella title-track o su A Just Reflection. Quando tutti i motori si accendono invece i Mystreated mostrano una classe garage che ha pochi eguali fra i gruppi coevi, come nella Don’t Be Led che carambola giù da qualche nuvola psichedelica con le sue dieci tonnellate di fuzz, schiacciandoci come scarafaggi.    

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

VIC GODARD & SUBWAY SECT – What’s the Matter Boy? (MCA)

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Vic Godard aveva deciso di diventare vecchio. Un po’ come era successo a Jonathan Richman.

E così, dopo aver suonato assieme a Clash, Sex Pistols, Banshees e Buzzcocks e aver registrato un album punk sui generis che nessuno gli pubblica, si era messo di lena buona per rispolverare il vecchio Buddy Holly e gli ancora più decrepiti doo-wop e skiffle. Del resto, erano stati proprio i Clash a rimodulare la potenza del classico rock and roll anni ’50 e allora, tanto valeva calcare un po’ la mano e aprire l’album di debutto dei suoi Subway Sect con una Birth & Death che sembrava una parodia di I Fought the Law.

La foto, altrettanto vintage, gliela scatta Rocco Macauley, il fotografo che aveva scattato la famosa foto degli scontri di Notting Hill finita sul retro del primo album dei, ancora una volta, Clash. Dentro, scavate nei solchi, ci sono dodici canzoni che pescano un po’ ovunque e che sebbene col punk abbiano poco a che fare, hanno un loro carattere astuto e un modo di approcciare la tradizione che è già in qualche modo foriero di quello che in America verrà messo a punto dai Violent Femmes (i due capolavori Double Negative e Watching the Devil, sul solco di quella Nobodys Scared con cui avevano debuttato su singolo) e, non molto distante da Vic, da Mr. Jazz Butcher.

Fottendosene di tutto e di tutti, Godard sceglieva la via dell’outsider.

Inventando, di fatto, l’indie-rock.

                   

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE CLIQUE – Preservation Society (Detour)

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Il prezzo è da trapianto del fegato, ma i quasi cento euro che questo triplo vinile vi chiede in cambio, Preservation Society li vale tutti: la Detour celebra il centesimo disco in catalogo con una raccolta MONUMENTALE degli inglesi Clique, ovvero (al netto delle varie ramificazioni del loro stesso albero genealogico), gli eredi naturali dei Prisoners.

Quartetto di base a Londra, i Clique si avvalsero dell’aiuto diretta e dell’esperienza di James Taylor per definire il loro stile, prima di assumere un hammondista stabile in formazione con l’ingresso di Dom Strickland che diventerà dunque anche uno dei principali autori del gruppo, adesso diventato quintetto e pronto a fare il salto di qualità da semplice cover band (e qui Preservation Society offre un elenco copioso, con rifacimenti strepitosi di Remains, Kinks, Otis Redding, Haunted, Aretha Franklin, Guess Who, Eddie Holland, Johnny Watson, Yardbirds, Bluesbreakers) ad autrice di ottimi brani come The Quest, Reggie, Hello Sunshine, After Five, Million Miles, JPs Little Ditty, il capolavoro freakbeat Dormouse.

Una rivalutazione che era un atto dovuto eper chi non c’era allora, un acquisto obbligato.  

Rimanderemo il trapianto al prossimo anno.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro