Un fossato circonda il castello abitato da Gaber e Luporini a cavallo tra gli anni di piombo e gli anni del riflusso.
La contestatissima tournée di Polli di allevamento, storicamente una delle più tormentate di tutta la storia della musica italiana, mette a severa prova la stabilità di Gaber e i rapporti con il suo gruppo di collaboratori storici, primo fra tutti Luporini. Il risultato è uno iato creativo di un paio d’anni.
Il ponte levatoio che Gaber decide di abbassare per superare quel fossato è duplice. Uno più rassicurante e comodo ma che di fatto degrada gradualmente e inavvertitamente proprio dentro quel baratro, quella palude di grigiore e di dubbio che si è insinuata nella mente degli autori. In realtà quel 1980 nasconde un inganno acheo, un cavallo di Troia che, scivolando sul ponte “canzonettaro” di Pressione bassa, si trova ad oltrepassare il guado non visto salvo sputare, una volta passata la sponda, tutto il veleno che Gaber si porta dentro. E se ne porta tanto.
Sono due dischi-cerniera tra il passato della lotta ideologica portata alle conseguenze estreme e di un presente che porta con se la consapevolezza del “non è più il momento”. Per confrontarsi col presente e vagheggiare un’idea di futuro, Gaber si trasferisce a New York, proprio nei giorni in cui uno dei suoi eroi della gioventù viene ucciso all’uscita del suo appartamento al Dakota Palace. E proprio con un copricapo alla Lennon tornerà, dopo una parentesi televisiva necessaria per tirare fiato, su un palco “caldo” come quello organizzato per l’autofinanziamento di Lotta Continua, cantando una Io se fossi Dio che ammutolisce tutti. Dio compreso.
Pressione bassa, crollo di ipotensione dovuto allo scoramento e allo sconforto per una rivoluzione che poteva esserci e non c’è stata, è un disco di ritratti mesti e gucciniani. Un disco dove l’allegria è illogica, ovvero immotivata e l’amore un rifugio destinato a crollare (“Il loro amore moriva come quello di tutti,
come una cosa normale e ricorrente, perché morire e far morire è un’antica usanza che suole aver la gente” canta sulla conclusiva Il dilemma). Ora che il “sociale” è stato sconfitto e avvilito, è necessaria la ricerca di un nuovo centro di gravità individuale, soggettivo dopo lo scombussolamento che è seguito all’agghiacciante ascesa del fenomeno brigatista e davanti ad un decennio il cui fuoco non riesce ancora a spegnersi ma che viene in qualche modo “oscurato” dalla nascita delle televisioni commerciali dove viene impacchettata una tv che sostituisce all’apocalisse l’apolitica a suon di gettoni d’oro, soubrette scosciate, pubblicità di merende e detersivi per i piatti, mettendo in circolo l’idea farlocca di un nuovo “boom economico” creato in vitro che esiste solo dentro gli studi di Canale 5. Fuori, nel mondo reale, ci sono invece i licenziamenti alla FIAT, il raddoppio del prezzo del petrolio, la strage di Ustica e quell’altra che ferma le lancette della stazione di Bologna alle ore 10.25 di un 2 agosto mai così caldo. Il disimpegno aggredisce la classifica musicale a suon di Loretta Goggi, Heather Parisi, Gianni Togni, Julio Iglesias, Miguel Bosè e sigle dei cartoon. Si respira, lungo le otto tracce di Pressione bassa, un avvilimento e un disfattismo che è l’esatta antitesi della furiosa débâcle di Io se fossi Dio resa possibile dal simulato cambio di soggettiva, con il geniale e megalomane escamotage di sostituirsi all’onnipotente, pur di declamare il suo “personalissimo giudizio universale”. Laddove Io se fossi Dio scava fin dentro la carne, tirando fuori la rabbia occultata nelle viscere come grumi di sangue, Pressione bassa si ferma all’epidermide.
Franco “Lys” Dimauro