Gli anni affollati sono, dice candidamente Gaber, “gli ultimi dieci anni”.
Dunque sono gli anni Settanta nella loro interezza che Gaber si fa carico di sgomberare, alla soglia del decennio successivo, i cosiddetti anni del riflusso, della riscoperta dell’individualismo più esasperato e della fuga dall’interesse per il pubblico e per il sociale, del tramonto delle ideologie, dell’abbattimento definitivo di certi schieramenti politici, dell’affermazione individuale che ha soppiantato la lotta di classe che, di fatto, è stata abbandonata una volta compreso ed ammesso che l’arricchimento e il prestigio di casta fanno gola e comodità a tutti. È il trionfo dell’effimero, come sagacemente osserva Gaber su Il presente. Ed è un presente che ha di fatto sconfitto il passato, ne ha calpestato valori e sogni, annunciando un futuro altrettanto sgombro, se non si riusciranno ad avvistare nel deserto quelle piccole risacche di umanità che è auspicabile vi si annidino: “Davanti c’è soltanto uno spazio vuoto. L’importante è guardarlo attentamente, questo spazio vuoto, come se da un momento all’altro le cose potessero uscire dal silenzio e rivelarsi.”
È la generazione dei reduci della vecchia controcultura e del “movimento” che ha ormai spento l’interruttore dell’attivismo quella cui Gaber si rivolge retoricamente, sul brano inizialmente previsto come chiusura dello spettacolo, chiedendole: “Ma come fate ora a vivere e a morire senza qualcosa da inseguire? Ma come fate a viver tra la gente con l’anima neutrale e indifferente?”.
Anche l’amore di coppia, pur ridotto ad una ovvietà bigotta, ad un rituale borghese, è adesso tramontato e il piacere è del tutto individuale, solitario: Gaber sostituisce prontamente quei quadretti di vita familiare che erano stati Il signor G e l’amore, È sabato, L’impotenza, Prima dell’amore e Dopo l’amore con La masturbazione. E in effetti gli anni Ottanta vedranno implodere per la prima volta in Italia un gran numero di matrimoni e lo sdoganamento della pornografia sulle piccole emittenti televisive.
Stranamente, il collante della società diventa la condivisione del dolore. La restrizione coercitiva ed involontaria dalla società edonistica compie il miracolo della ricostruzione dei rapporti sociali, del dialogo, del confronto. Gaber lo racconta poeticamente e quasi commosso su Gildo, ambientata in una corsia d’ospedale.
Nonostante il fondale del nuovo decennio faccia incagliare la scialuppa rivoluzionaria degli anni Settanta, il disco è uno dei più ispirati della discografia di Gaber, con numeri eccellenti come Anni affollati, Pressione bassa, “1981”, L’illogica allegria e la lunghissima invettiva di Io se fossi Dio destinata ad uno tsunami di applausi scroscianti.
Gaber si prepara all’inaugurazione della Milano da bere, servendo veleno dentro i bicchieri da cocktail di quanti sono già seduti al bar, pronti per l’ora del lunghissimo aperitivo degli anni Ottanta.
Franco “Lys” Dimauro