Sei brani per quaranta minuti di durata, come nei peggiori incubi prog. Dopo un singolo di debutto che di minuti ne conta dieci, tanto da doverli dividere in una Sunglasses e in una Sunglasses (cont.) per farli entrare sulle due facciate del sette pollici che due anni prima ha alimentato il culto per i Black Country, New Road, ensemble londinese che rappresenta oggi quello che il post-rock rappresentò dopo il primo funerale del rock degli anni Novanta ovvero il tentativo di costruire un ponte sul baratro espressivo in cui di tanto in tanto il rock va a finire. Una “nuova strada” che ci porti da qualche altra parte insomma, un imbuto sperimentale che alla fatta dei conti col classico rock ha pochissimo a che spartire e che ha più a che fare con l’astrazione di contaminazione fra generi, come nelle opere concettuali della Penguin Cafe Orchestra.
Sono musiche che amano la complessità delle forme, i crescendo e le improvvise dilatazioni. Sono nuvole che passano e che passando mutano di sagoma e di profilo, ombreggiano le porzioni di terra su cui sorvolano, scatenano piogge improvvise e poi di colpo schiariscono, si allontanano oltre la linea dell’orizzonte, si sfaldano così come erano apparse e ci lasciano col naso all’insù a bestemmiare come un Mark E. Smith o un Lou Reed qualsiasi.
Disco meteoropatico ed espressionista For the First Time prende le distanze apertamente dall’immaginario rock ‘n’ roll sfatto alla Richard Hell e celebra le minuterie degli Slint come attrezzistica di base per il moderno e parsimonioso artigiano del rock.
Franco “Lys” Dimauro