È il 1963 quando un giovane Robert Wace varca la soglia della Leeds Music di Denmark Street per far ascoltare a qualcuno la demo della band di cui sta curando il management. Si chiamano Ravens e hanno il solito repertorio di standard americani che stanno furoreggiando in Inghilterra. Non si distinguono dagli altri ma per Shel Talmy, il produttore americano che ha già avuto successo producendo per la Decca il primo album dei Bachelors e che ora è alla ricerca di qualche nuovo nome su cui dare il suo imprimatur, si presenta l’occasione per portare alla Pye, la nuova etichetta con cui ha appena siglato un contratto con delle clausole molto vantaggiose (Talmy sarà il primo a chiedere le royalties per le canzoni su cui mette mano e non un semplice stipendio “a progetto”), un nuovo nome su cui lavorare.
I primi due singoli sono ancora privi di carattere. Gli appena ribattezzati Kinks si limitano a fare i Beatles di panchina. Per il terzo Talmy trasferisce armi e bagagli agli studi IBC ed impone il proprio stile di cattura del suono: tre microfoni sull’ampli della chitarra (uno attaccato al pannello, uno piazzato ad un metro e mezzo, l’altro panoramico a catturare il riverbero della sala) e ben dodici sulla batteria. Un azzardo che, visti i risultati raggiunti, diventerà presto lo standard per tutti.
Quello che ne è esce non somiglia a nient’altro sia stato prodotto in Inghilterra fino a quel momento. E in realtà non somiglia neppure a quanto messo in piedi dai Kinks stessi per realizzare i contorni e i secondi piatti a quella prima, appetitosissima, portata. Che sono pregevoli esercizi di rock ‘n roll ma rimangono pur sempre contorni e secondi piatti.
You Really Got Me riporta la musica giovane alla sua natura più indisciplinata e ribelle. Il riff portante, condotto da una chitarra dal suono strappato, sembra scolpito nella selce. È un petroglifo rupestre che si stacca dalla roccia e prende vita. La voce di Ray Davies si muove tra sicurezza mascolina ed eleganza dai tratti femminei. Ma la cosa spettacolare, quella che ufficialmente dà fuoco alla miccia del beat più e prima di qualsiasi altra cosa, è il solo di chitarra. Che non è il solito assolo compassato e scolastico, il classico lick preso in adozione dal blues nero e ricamato sopra una torta al cioccolato bianco.
No, l’assolo di You Really Got Me, che per tanti anni si penserà suonato da chissà chi altri e che invece è frutto di un magico spasmo muscolare di Mr. Dave Davies è tutto un wuambasdregnsquandsbaraguencwooafrenginsbrenguembemfenciomen, una folle improvvisazione di sax che non trovando nessuno strumento a fiato dentro cui barrire, si reinventa assolo di chitarra, finendo per assomigliare a quelle parolacce scurrili che tanto piace mormorare ai maschietti durante l’amplesso. È privo di forma, sembra sgretolarsi da un momento all’altro, animato da una potenza incontrollata, sfrenata, rock and roll.
È un Franti della chitarra solistica.
Il terzo singolo dei Kinks diventa l’archetipo di ogni canzone irriverente prodotta in Inghilterra da lì in avanti, a cominciare dalle My Generation, Wild Thing e Satisfaction che sono lì lì per venire ma che al momento non ci sono ancora, neppure nel resto dell’album dentro cui You Really Got Me si erge come una montagna dentro una distesa di acque agitate dai venti della musica americana che soffiano da Occidente.
You Really Got Me sconvolge insomma i piani del beat inglese, che fino a quel momento non si pongono altro obiettivo se non quello di trovare un nuovo canone da ballo per radunare gli adolescenti sotto la stessa bandiera.
La Union Flag.
Quella dei Kinks.
Franco “Lys” Dimauro