La ferocia delle Babes in Toyland, già messa in mostra col disco di debutto, diventa su Fontanelle la più credibile e rampante alternativa foxcore all’imperante grunge di Seattle, in virtù di un suono chitarristico manovrato da Lee Renaldo e che finalmente emerge dalla “sgraziata” musica del terzetto con un’irruenza che, abbinata all’approccio tribale di Lori Barbero alla batteria, va a costituire un immane e impattante muro del suono. Roba che i tipi della Reprise che se ne sono assicurati i servigi visto il clamore underground suscitato dai loro concerti e da Spanking Machine, devono aver ascoltato imbottendosi le orecchie col cotone e coprendole poi con garza sterile una volta trascorsi i trentasette minuti d’ascolto, tagliati in due da Quiet Room che è il Noè che separa le acque. Che sono, anche se scosse da movimenti tellurici, quelle del blues. Reso irriconoscibile, sfregiato e depauperato da ogni sentimento di rassegnazione per assumere le dimensioni e la sagoma sfigurata di un mostro di fango e fiele, vestito con una maglia d’acciaio.
Le Babes in Toyland non ci portano, e potrebbero, ritornelli da cantare.
Ci vomitano addosso il disgusto che hanno inghiottito in una serie di sabba come Jungle Train, Bluebell, Magick Flute, Won’t Tell, Spun, Realeyes, Bruise Violet e la fenomenale Gone: un’unghiata di chitarra che satura la rage room un attimo prima che si spengano le luci e la rabbia momentaneamente placata ci permetta di riposare sul tappeto di cocci che per un attimo ci ha saziato la sete come gocce d’acqua.
Franco “Lys” Dimauro