GHIGO – Coccinelle, banane e altre storie (Musicando)

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Non ci sono molti filmati di Ghigo nelle teche Rai, non vi affannate a cercare. Ghigo Agosti era già stato bannato quando ancora l’elettrodomestico più diffuso nelle case italiane era la radio, figuratevi la tv. Un brano su un travestito, quando ancora gli anni Sessanta non erano sbocciati e in tv non erano ancora arrivate neppure le gambe delle Kessler, immaginate un po’.

Il rock and roll era musica pericolosa. Ed era meglio andarci cauti. Talmente cauti che Ghigo, il più brillante performer che quell’epoca abbia mai avuto, cadrà nell’oblio nonostante le vendite strepitose di quella sua Coccinella. “Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti” avrebbe chiosato anni dopo uno dei suoi diretti discepoli.

Non ci sono molti filmati ma uno c’è, ed è proprio quello in cui Ghigo, vestito di nero in uno sfondo nerissimo, canta come un tarantolato proprio la sua Coccinella ospite del Musichiere, anno 1959.

Canzoni fortemente allusive o piene di nonsense, quelle di Ghigo. Canzoni anche spietate, come quella Non voglio pietà che canterà in epoca beat nascosto dietro l’oscuro alter-ego di Mr. Anima che però dentro quest’ottima raccolta della Musicando, una delle poche che lo riguardano, non c’è.  

Ci sono però Banana (frutto di moda), 13 vermi col filtro, Solo con me, Allocco fra gli angeli, Si titubi tu titubi, No al demonio, Scalogna e carcere che si presentano da sole, senza bisogno che un annunciatore qualsiasi aggiunga una sola parola di più.

Ecco perché non serve che ne dica una in più neppure io.

Ma se volete sapere chi è la star mancata della nostra breve stagione r ‘n’ r, eccovelo qua.

                                                                                 Franco “Lys” Dimauro

 

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EDOARDO VIANELLO – Io sono Edoardo Vianello… (RCA)

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La “fabbrica” della RCA Italiana, inaugurata nel 1962 e sorta in una zona adibita a pascolo al Km 12 di Via Tiburtina, è stata l’industria italiana del disco per antonomasia. L’opificio simbolico del boom economico italiano degli anni Sessanta, del riscatto dagli anni bui della guerra e delle officine della morte del ventennio fascista. Dentro quell’immenso complesso industriale l’Italia ha la sua rivincita morale e culturale. Lì dentro si perfezionano contratti, si scrivono canzoni, si registrano, si incidono e mentre autori, discografici e cantanti si incontrano nell’enorme sala bar dell’edificio, i dischi sono già impacchettati e pronti a conquistare juke-box e radio. Una vera officina della musica.

Dell’ottimismo spensierato degli anni del boom Edoardo Vianello è simbolo popolare come nessun altro. Canzonette, musica leggera. Un atollo polinesiano dove nessuna lordura del mondo può arrivare ad imbrattarti la vacanza. Diapositive di una vita felice e spensierata, come certi selfie che girano oggi su Instagram dove milfoni tristi si ostinano a vendicarsi di una vita fatta di niente postando una fetta di culo, una sfilata di moda, un aforisma di cui non conoscono ne’ l’autore, ne’ il significato, ne’ la punteggiatura.

Le canzoni di Vianello sono un tuffo spensierato in un mondo che è un villaggio Valtur globale, un parco giochi dove ogni cosa che incontri è un’attrazione di cartapesta per eterni turisti.

Vianello era, con Nico Fidenco, Gianni Meccia e Jimmy Fontana, uno dei quattro moschettieri con cui Ennio Melis costruisce la storia della RCA Italiana, non più filiazione della grande etichetta americana ma una vera fucina di talenti e successi tricolori. Vianello aveva lavorato come attorucolo di teatro comico ma è l’incontro con il paroliere Carlo Rossi, combinato da Teddy Reno alla fine degli anni Cinquanta a convincerlo a fare della sua innata verve comica e del suo sorriso rassicurante la testa d’ariete per sfondare nel mondo della musica. Per il suo album di debutto Melis gli mette a disposizione il meglio della sua scuderia: Luis Enrìquez Bacalov, i Cantori Moderni, Ennio Morricone e i Flippers di un giovanissimo Lucio Dalla. La copertina è invece affidata a Giuliano Nistri, che diventerà uno dei cartellonisti cinematografici più ricercati della penisola (tanto da essere convocato dai Calibro 35 per la copertina del loro secondo album, NdLYS). Dentro ci sono tutti i suoi primi successi su 45giri: Ma guardatela, Cicciona Cha Cha, Umilmente ti chiedo perdono, Che freddo/M’annoio, Il capello/Non pensiamo al domani, Pinne fucili ed occhiali, Ti amo perché, Guarda come dondolo fino a quell’Abbronzatissima che è la Barbara-Ann italiana, con buona pace per tutti gli altri.

C’è tutta l’Italia che abborda le turiste svedesi, l’Italia strabordante dei vitelloni, della dolce vita, degli zecchini d’oro, dei tormentoni, delle danze tribali diventate sinonimo di eleganza e vita sregolata, delle creme abbronzanti e delle estati a Torvaianica. L’Italia che non chiudeva le porte a niente e a nessuno e che non aveva paura, che sapeva ridere e divertirsi. L’Italia che oggi…apriti cielo! Guai a parlare di negri, donne grasse e vacanze non ecocompatibili. 

L’Italia liberata che aveva demolito tutti i fortini e li aveva trasformati in cabine di un enorme stabilimento balneare.      

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

CHUBBY CHECKER – The Best of Chubby Checker (ABKCO)  

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Nonostante oggi sia vista come una delle cose più innocue e buffe in cui si possa venire coinvolti, il twist fu portatore di una delle più grandi rivoluzioni di costume della società moderna.

Ad inventarlo era stato, inconsapevolmente, Hank Ballard nel 1959 ma a farne un fenomeno di massa dalle proporzioni clamorose ci avrebbe pensato Dick Clark ovvero l’uomo più influente dell’America post-bellica, assegnando quel che in origine era la facciata B di un singolo R ‘n B nelle mani di un mulatto di nome Ernest Evens prontamente ribattezzato Chubby Checker e messo sotto contratto dalla Cameo Parkway, etichetta in cui egli stesso investiva parte dei suoi proventi e da cui riceveva larga parte dei guadagni. Lui si sarebbe ovviamente fatto carico di promuovere adeguatamente la nuova versione di The Twist sul suo American Bandstand, coinvolgendo il pubblico nella forza trascinante e liberatoria di quel ballo che era come “strofinarsi il culo con l’asciugamano mentre provi a spegnere due sigarette sul pavimento”.

Sembra una cagata pazzesca. Ma non lo è.

Perché il twist permette finalmente alle donne, considerate fino all’epoca del rock ‘n’ roll semplice “tappezzeria” delle sale da ballo costrette ad aspettare l’invito di qualche omino più o meno galante per potersi impadronire della pista da ballo, di ballare da sole.

Il twist non prevede compagno o compagna. Il twist è la danza dell’individuo e della moltitudine assieme. Ed è una rivoluzione importante, da cui non si tornerà più indietro.

La carriera, breve ma folgorante, di Chubby Checker è un continuo riadattamento di quell’idea: Twistin’ U.S.A., Pony Time, The Hucklebuck, Let’s Twist Again, The Fly, Slow Twistin’, Limbo Rock, Twist It Up, Let’s Limbo Some More, Popeye the Hitckhiker, Twistin’ Round the World e via le altre non sono che abilissime variazioni sul tema del “ballabile”.

Il passo di danza viene prima di tutto il resto. La musica non si fa portavoce di nessun altro messaggio se non quello di far muovere il bacino, di invadere la pista da ballo. Puro divertimento, pura energia cinetica. Entrando nei salotti della gente perbene con garbo e discrezione e facendo lentamente scivolare le loro figlie nei gironi della libertà sessuale che in quegli stessi giorni viene farmaceuticamente sancita con la commercializzazione al banco della prima pillola contraccettiva.

hold it, aww shake your fat fanny, i mean shake your fanny, twirl that thing gal twirl it, bring it, twist it a little bit…

        

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro