La pioggia era stata la protagonista di un semplice ma efficacissimo piano-sequenza che aveva immortalato per sempre l’immagine degli Psychedelic Furs sugli schermi dei canali video degli anni ’80.
Singolo bagnato, singolo fortunato Heaven.
Che quell’acqua sia di auspicio per questo rientro in scena dopo anni di silenzio è dunque il mio augurio sincero ai fratelli Butler, che dell’atelier sono rimasti gli unici titolari.
Se è vero, come lo è, che la nostalgia è il polmone artificiale che tiene in vita il rock, Made of Rain venderà un discreto numero di copie pur non essendo il capolavoro che tutti si affretteranno a dire di aver ascoltato. Un disco che sembra partire per il verso giusto, tutto “suedato” e che invece perde di mordente già dopo aver superato la terza traccia, con un guado centrale davvero difficile da superare con una serie di canzoni che si parlano addosso e che nessuna pioggia, neppure fosse uno scrosciante acquazzone di applausi, potrà benedire. Quello che lo salva, paradossalmente, è la sua scelta di non voler a tutti i costi coprire le rughe per tornare a fare a sessant’anni quello che facevano a venti, di non voler a tutti i costi mostrarsi giovani e speculare su un passato che ha ormai lasciato la stazione come quel Wrong Train in cui Richard ci confida un po’ della sua vita privata, di non voler dissimulare gli anni che si porta addosso.
È invece un disco che conserva l’eleganza un po’ sfiorita della terza età, un disco di gente capace ma che fatica ad adeguarsi ai tempi, nonostante il cortocircuito temporale con cui i musicisti della nuova onda entrano ed escono orizzontalmente dal passato come i protagonisti di Dark rischi di investirli in pieno.
Ma tutto sommato, Made of Rain è un disco che non commuove e che non diverte. E che nemmeno riapre le cataratte del tempo per permetterci di confondere le lacrime alla pioggia.
Aspettiamo che spiova.
Franco “Lys” Dimauro