DR. DRE – The Chronic (Death Row)  

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La prima cosa che si sente è un “Biatch!” piantato lì senza apparente motivo. Poi, si innesta il fischio di un mini-Moog accostato da un giro di basso a serpentina.

Lo stile “Chronic” (da una storpiatura del metodo idroponico di coltivazione della ganja) che detterà legge in tutto l’hip-hop della Costa Ovest degli anni Novanta  gettando le fondamenta per il Gangsta-rap sta già tutto nei primi dieci secondi del disco di debutto di Dr. Dre.

Inaspettatamente, l’assalto alla fortezza bianca non viene più tentato dal versante politico come era stato per i Public Enemy ma in una recrudescenza delle pose violente, del linguaggio scurrile, della conquista della ricchezza e dei suoi status-symbol e dell’affermazione individualistica su quella collettiva di gruppo etnico che era alla base dell’hip-hop delle origini.

Il nemico è ovunque, anche se ha la pelle del tuo stesso colore. E Giuda, per quel che ne sa Dre, può benissimo avere la pelle nera. L’arte del dissing non perdona nessuno. Morbosamente ed orgogliosamente funky la musica di Dr. Dre lascia un’impronta indelebile nell’evoluzione della cultura black trovando dei nuovi alleati alla causa in Snoop Doggy Dogg, Warren G e Kurupt cui spetta il compito di insidiare il beat e farcire di parolacce i sampler prelevati di peso dai dischi di Salomon Burke, Ohio Players, Parliament, Leon Haywood, Joe Tex, Isaac Hayes e Funkadelic o replicati sulle due ottave del Moog portatile del Dottore.

The Chronic è un’officina di indicibile sporcizia funky.

Dentro, tutte le locomotive dell’hip-hop californiano passano e vanno via lanciando un fischio.

Ancora oggi quel fischio incute timore e rispetto.     

I’m all about the chronic.

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

 

DR. DRE – 2001 (Aftermath)

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Suonato dalla prima all’ultima nota come uno di quei dischi funk con cui AnDRE Romelle Young è cresciuto ancora prima del dottorato, 2001 è il disco destinato a trasportare la salma del gangsta-rap oltre la soglia del nuovo secolo.

Dr. Dre “l’Osservatore” assembla il suo secondo progetto riunendo il meglio dei musicisti e dei rapper che il suo fiuto gli indica. Lui sovraintende il lavoro e lo marchia con lo sperma del re, ma sono gli altri, la manovalanza pregiata, i ghostwriters, a fare tutto il resto e a fare di 2001 il degnissimo successore dell’ormai vecchio The Chronic. Spiaccicato sul lunotto di questa decapottabile che passa col suo puzzo funk è tutto l’universo conosciuto del gangsta-rap, ovvero il western urbano degli anni ‘80. Pistole e puttane, auto di lusso, rivendicazioni d’appartenenza e cazzim’ e tutto quel vocabolario di scurrilità che tracimano nel porno di Pause 4 Porno e che il Parental Advisory fatica a coprire tanto che la Aftermath è costretta, pur di “raggiungere” il pubblico di giovanissimi che rappresentano il target prescelto, a correre ai ripari pubblicando una versione “censurata” dove ogni parolaccia viene brutalmente cancellata dalla traccia audio, trasformando le barre in una sorta di annaspante conversazione telefonica in assenza parziale di campo (Pause 4 Porno diventa, ovviamente, uno strumentale, NdLYS). Nella sua forma originale però 2001 è un’autentica bomba di stile, calibrata sin nel più piccolo particolare, nel più infinitesimale interstizio di suono, un lavoro elegantissimo con pezzi come What’s the Difference, The Watcher, Still D.R.E., Forgot About Dre, Murder Ink, Big Ego’s che sono abiti perfetti per il corpo nudo dell’hip-hop di fine decennio tanto quanto avrebbero potuto esserli per quello di dieci anni prima o di dieci anni dopo. Perché Dr. Dre non ha apparentemente nessun altro talento se non il più grande di tutti: riuscire a coordinare tutti i talenti altrui in un’unica, grande opera d’arte.      

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro