Il 1994 fu l’anno in cui ci facemmo abbindolare dai Therapy?
No, non è una domanda. È che il loro nome si scriveva proprio così, con il punto di domanda conclusivo. Venivano dal Nord dell’Irlanda, i Therapy?. Chitarra, basso, batteria. E nel 1994 avevano già inciso un paio di dischi indipendenti e imperfetti ma fu con Troublegum che riuscirono a raggirare tutti. Punk, metallari, fanatici dell’industrial, del noise e del grunge. Tutti.
Troublegum era il disco perfetto nel momento perfetto. Aveva dentro tutto il frastuono inutile ma necessario di quegli anni: chitarre che sembrano suonate da Leatherface, batteria metallica e linee di basso pressofuse con entrambe. Canzoni che alternano assalti alla Big Black (Knives, Unrequited) banalotti ritornelli punk (Screamager, Nowhere, Die Laughing) a melodrammatiche aperture metal così come lo amavamo ai tempi di Mind Funk, Stone Temple Pilots e My Sister’s Machine (Lunacy Booth) e ad opportuni (per quegli anni in cui Kurt Cobain era ancora Dio ma Trent Reznor era di certo Lucifero) adeguamenti degli impianti elettrici delle sale prove di Killing Joke e Sisters of Mercy.
Canzoni vomitate dentro un barile di latta.
Canzoni che sembravano dover sfidare il tempo sfondando il muro che teneva custodito il segreto dell’immortalità e che invece sono morte come tante altre. Come quelle degli Helmet, come quelle dei Mudshark, come quelle dei Terrorvision. Come tante altre che arrivarono dopo e che ancora arriveranno. E da cui ci faremo fregare.
Franco “Lys” Dimauro