Mi piacciono i singoli. Dentro c’è spesso quella miccia che, allungata e stiracchiata per i “metraggi” degli album, perde a volte tutto il suo livore.
E poi, ti obbliga a frequentare il tuo stereo. Un singolo non lo metti lì “a ruota” mentre fai le faccende di casa o cerchi di aggiustare la tua casa che va a pezzi come la tua vita. Non ti permette di andare a grattarti le palle. Devi stare lì, nei pressi.
Perché dopo due o tre minuti dovrai essere pronto a rigirare il tuo bel dischetto e rimettere a posto la puntina. Ai tanti che vogliono evitarsi questa fatica, cerchiamo di dare qualche motivo in più per tirare su le panze dalle scrivanie e dalle poltrone andando a spulciare tra le ultime uscite europee in formato ridotto.
È la spagnola Groovie Records di Lisbona a mettere il timbro sul nuovo 7” degli italiani Hangee Five, ormai da anni una garanzia per la custodia dei suoni sixties più criptici e riverberati.
Minus One è uno strumentale dalla classica progressione surf sullo stile degli Chantays con un tocco spiritato sullo stile dei Roemans o degli Enchanters 4.
Sul lato B Old Shadow si muove tra frustate di fuzz, urla isteriche e mazzate di batteria mostrando l’altra faccia del gruppo sardo, quella più legata al sixties punk maledetto e demente. Le analogie con la Judgement Day degli Esquires sono evidenti e non taciute.
Dalla sponda opposta del Tirreno, esattamente da Pisa, provengono i Liars.
Alessandro Ansani e Pierpaolo Morini fanno musica, questa musica, da quando molti di voi si ciucciavano il dito. Andrea Salani, il “nuovo” batterista, da quando vostra madre ciucciava altro, prima di addomesticarsi alla vita coniugale.
Se i nomi di Putrid Fever e CCM vi dicono qualcosa, dovreste aver capito.
Ora che tornano tutti ma proprio tutti, tornano anche loro e onestamente mi sembrano molto più motivati di tanti altri. Salvation e Can‘t Stay Away from You sono due belle canzoni (eccezionale la prima, semplicemente bellissima la seconda) che mostrano come si possa suonare del rock moderno senza abusare dei luoghi comuni che i nostri ascolti spesso ci impongono.
Negli anni Ottanta lo facevano i Plan 9, gli Hidden Peace, i Things, gli Electric Peace.
E lo facevano i Liars. Grazie a Dio sono tornati a farlo.
Merdosissimo garage punk per il nuovo 45rpm dei giapponesi Routes, il primo ad essere pubblicato per una label del Vecchio Continente, la meravigliosa Dirty Water.
Non un singolo qualsiasi ma il migliore di questo 2010 che molti ricorderanno per i dischi di xx, Vampire Weekend, Crystal Castles o Wavves.
A nessuno di loro consiglio l’ascolto di una cosa infima come Do What‘s Right by You, elementare e volgarissimo beat punk che pare suonato da allucinati figli di capelloni come Missing Links o Outsiders.
Love Like Glue fa anche peggio: sembra una copia graffiata del primo album degli Shadows of Knight. Roba che non comprereste mai nel negozietto di dischi usati, figurarsi se lo comprerete al prezzo di uno nuovo.
E fate bene.
Ne abbiamo fin sopra i coglioni dei vostri dischi pieni di elettronica come un disco degli A-ha che volete per forza spacciarci come nuova e alternativa.
Ognuno stia nel proprio recinto, che la promiscuità ha fatto più danni che altro.
Sempre da casa Dirty Water arriva un’altra cosa lurida come il 7” dei Dustaphonics.
Hanno questa cantante, Aina Westlye, che canta come se le stessero praticando un fisting rettale e un chitarrista che ha memorizzato ogni cosa di quelle che da anni si diverte a passare nei club dove lavora come DJ: blues, funky, surf, rockabilly.
Il risultato è Burlesque Queen, un delirio tarantiniano con tanto di sassofono bavoso e cori da privè su un testo scritto nientemeno che da Miss Tura Satana.
Roba da eiaculazione precoce, manco a dirlo.
Sul lato B c’è Tornado, un classico di Dale Hawkins.
Diddley sound martoriato dalle maracas e dal tremolo e canto da pantera soul.
Sono invece quattro le band a spartirsi i pollici dell’ultima uscita Boss Hoss: viene un pollice e 75 a testa, ma ne valeva la pena. Anche perché il mio idraulico per montare un tubo da mezzo pollice chiede molto ma molto di più.
I Barbacans sono italiani e con Cut Your Head G.S. (Giancarlo Susanna?, Gwen Stefani? Non ci è dato sapere…NdLYS) confermano quanto di buono fatto col disco di esordio: un suono sporchissimo e denso di catrame fuzz e scorie di organo Vox.
I Vicars fanno altrettanto con una Can‘t See Me scopiazzata sulla imbastitura di He‘s Waitin’ dei Sonics. Sull’altro lato due band dal Sudamerica: Los Peyotes con Pintalo de Maron con un organo demente e chitarre che fanno l’acqua-planning sull’Oceano Atlantico. Triviale e squilibrato. Los Explosivos invece ci accomiatano con l’ennesima cover di I Can Only Give You Everything che certo non ci fa più l’effetto che ci fece quando la sentimmo la prima volta ma è sempre un bel sentire.
Del resto la prima pompa è indimenticabile, ma non è che quelle successive siano da buttare.
Chi invece sacrifica i beatle-boots per un paio qualsiasi di scarpe purchè siano belle da guardare sono i Piatcions. Non credo che imparerò a scrivere il loro nome correttamente senza guardarlo sulla copertina prima di essere pronto per il boia ma questo non vi riguarda. Il ridicolo giro di parole serviva solo per dire che dopo il singolo capellone dello scorso anno il quartetto di Domodossola si mette al lavoro per educare il proprio suono a quello della generazione shoegaze.
Chitarre stratificate e voci fluttuanti come nei dischi dei Darkside o degli Spiritualized sulla Time che occupa prima facciata di questo nuovo singolo che esce per la A Giant Leap mentre Singapore Mon Amour è un trip di cinque minuti su una linea di basso martellante e curve algide di sintetizzatori, sferzati da folate di vento cosmico.
Come prendere un trip mentre stai atterrando sulla luna assieme ai Krisma.
È sempre la A Giant Leap che si fa peso di portare in Italia quanto hanno registrato i Rollercoaster (italiani ormai naturalizzati americani, NdLYS) in California.
Ne viene fuori un bellissimo EP di quattro pezzi fulminanti. Dall’iniziale Change Is Due che pare una cover di Dead Souls dei Joy Division suonata da Jesus and Mary Chain fino alla bellissima trama di chitarre paisley e piano elettrico di Unfinished Business passando per il nodoso rock detroitiano di Between Seeing and Not Seeing e quello fangoso di Soul on Fire figlio degli Hypnotics è tutto, davvero, un bel sentire. Magari ce ne fossero di band così.
Smettetela di comprare i dischi de Le Vibrazioni e andate a cercare questa roba.
Tornano un po’ a sorpresa anche i Maharajas. Lo avevo già detto qui: http://www.facebook.com/note.php?note_id=77561044279 un po’ di anni fa che il gruppo svedese mi sembrava voler sempre più prendere le distanze dal suono garage degli esordi per lanciarsi nel recupero di certo power-pop di scuola Flamin’ Groovies e questo Sucked into the 70’s conferma i miei sospetti: Down at the Pub richiama subito alla memoria la Down at the Night Club di altri svedesi ma solo dal titolo: ci troviamo infatti davanti ad un pub-rock scattante e pieno di belle melodie alla Plimsouls. Una nuova direzione confermata anche dagli altri tre pezzi, tra i quali mi pare distinguersi la Stickers and Pins posta in chiusura, tutta carica di vecchi ricordi epoca Shake Some Action (Flamin’ Groovies) e Triangle (Beau Brummels) e delle cartoline estive di Stems, Hoodoo Gurus e ultimi Sick Rose.
I vecchi estimatori del suono in H-Minor rimarranno delusi, gli altri prendano la sdraio e si mettano al sole, prego.
E a proposito di Maharajas. Forse non tutti sanni che Jens Lindberg, il leader della band svedese, era negli anni Ottanta dentro quella cricca di perdigiorno dei Crimson Shadows. Jens era quello con il medaglione al collo e la faccia da schiaffi. Accanto a lui, oltre ai fratelli Maniette e a Henrik Orrje c’era pure Måns Månsson, più avanti alla guida dei grandi Maggots, ufficialmente sciolti il 13 aprile del 2010 ma in realtà già sfatti da un po’. Sentendo odore di bruciato il buon Måns ha tirato su una band assieme a Mats Brigell e Sebastian Braun dei Giljoteens e al chitarrista degli Artyfacts, qui relegato al basso. La band si battezza The Mystic Ways con l’intento “religioso” di tornare a suonare vecchie cose dal cuore sixties. Tradita la visione mistica ma non la missione, i quattro si ribattezzano Flight Reaction come un vecchio pezzo dei Calico Wall e debuttano ora con un doppio 7″ per la CopaseDisques: Flying Colours/A Broken Heart e Won’t Give In/I Lost You risuonano di vecchie spezie anni sessanta in classico stile Crude Pa. o New England Teen Scene: suono abrasivo ma anche pieno di ricami folk malinconici e delicati. Un sound che dietro la sua apparente semplicità nasconde un groviglio di suoni ricercati e caleidoscopici colori retroattivi (ascoltate come suona il solo di I Lost You, NdLYS).
La Svezia, si sa, è sempre una spanna sugli altri.
E non credo sia soltanto una questione di paralleli.
Franco “Lys” Dimauro