THE KWYET KINGS – Firebeat (That’s Entertainment)

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L’amore di Arne Thelin per il sixties-punk è insopprimibile.

E così, dopo i forfait di Joyful Tears, Cosmic Dropouts e Lust-O-Rama, decide di provarci ancora. La band ha un potenziale enorme: il suo album di debutto stampato in contemporanea anche dalla Screaming Apple è una bomba deflagrante dove ad esplodere sono, oltre al classico garage-punk pure il maximum R ‘n B e il dutch-beat (come nelle formidabili e accesissime Gonna Make You Smile Again e In Love with You).

La sequenza di cover di Richard and The Young Lions, Sevens e dei Firebeats, Inc. (la seminale band norvegese cui Arne deve gran parte del suo amore per la musica beat-punk) dimostra grandissima adesione ai canoni originali ma sono i pezzi scritti dai Kwyet Kings, in particolare Ain’t Nobody’s Business, Need You Baby e I Say Yeah oltre a quelle citate, a fare la differenza. Un disco fulminante da cui però la band prenderà parzialmente le distanze coi dischi successivi, spostandosi verso il power-pop con risultati meno entusiasmanti e, di certo, meno urticanti.

 

                                                                     Franco “Lys” Dimauro

THE WYLDE TRYFLES – Outta Tyme (Soundflat)

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Il nuovo disco dei Wylde Tryfles mi è passato addosso e manco me ne sono accorto. Tanti solchi sul vinile e neppure uno sulla pelle.

Sciapetto, Outta Tyme. Uno di quei classici dischi in cui ci sono tutti i suoni giusti, tutte le influenze giuste, la grafica giusta, il look giusto ma la grinta, quella, sembra disegnata con lo spirografo. Dieci brani che non aggiungono nulla ad un genere che, anche volendone considerare il suo revival (cui il gruppo si rifà palesemente, più che alle band del ’66) si avvia ormai verso il mezzo secolo e ha superato i 180 chili sui miei scaffali. Aggiungere altro peso, col rischio che mi rovini tutto sui piedi, non mi pare scelta intelligente se non supportata da motivi imprescindibili. E non è questo il caso.  

                                                                     Franco “Lys” Dimauro

THE DARTS – Boomerang (Alternative Tentacles)

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Continua senza interruzioni la liaison fra l’etichetta punk di Jello Biafra e le regine incontrastate del garage-punk Darts con la pubblicazione di un nuovo album ad un anno esatto dal precedente e registrato praticamente quasi in contemporanea a quello. Boomerang prosegue sul solco delle tre precedenti uscite, con potenti stilettate sixties-punk come Are You Down, Liar (col suo efficace richiamo alla Stormy dei Jesters of Newport, NdLYS), Hang Around, Photograph, You Disappoint Me e tenebrose ballate come The Middle of Nowhere o Slither ispirate tutte o quasi sugli amori tossici e le conseguenze che si trascinano.

Al consueto, ficcante suono di Farfisa si abbina sempre più sovente un basso più fuzzato del solito che inspessisce le trame di pezzi come Pour Another, Photograph, Hell Yeah, Welcome to My Doldrums. La “tenuta” dell’intero disco è compatta e fortemente motivata e chi lo sa che mentre ce lo godiamo le quattro streghe non abbiano già nel pentolone gli ingredienti per la prossima pozione…

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

PIRATE LOVE – Black Vodoun Space Blues (Voodoo Rhythm)

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Sixties-punk spiritato, deragliante, caustico e nero come il corvo. Un disco che parte “precipitando”, con una Shake It! che sembra essere stata spinta giù dal decimo piano quello dei Pirate Love, passeri solitari norvegesi che sono andati a svernare in Svizzera, sulla grondaia di Beat Zeller. Questa urgenza si stempera solo episodicamente, come nel bellissimo esercizio tipicamente neo-garage di You Don’t Break My Heart, nella tenebrosissima e super-gloomy Death Trip e nel rock and roll di Ain’t Nothing to Do (A Kiss Hello). Il resto è invece animato da una furia devastante, come se i Morlocks avessero deciso di diseppellirsi con le proprie unghie e poi si fossero avventati sugli strumenti con quelle stesse dita ancora sporche di fango e liquami. E quindi sul nostro collo.    

 

                                                                     Franco “Lys” Dimauro

THE LOONS – High and Lonesome (Like Jimmy Reed Said)/Daffodils or Despair (Disques Rogue) / THE NIGHT TIMES – I’m Leaving You/Tell Me (Disques Rogue) / THE LOW SPIRITS – You Lied/Never Said I Need You (Outro) / GOODCHILDE – Email Female/Hang Up (Spinout Nuggets) / THE FADEAWAYS – Levitation/A Question of Temperature (Uncle Jazz)

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Nel breve volgere di due/tre anni la Disques Rogue si è imposta come la miglior etichetta dedicata alla stampa di 7” di matrice garage-rock, in grado di acquisire via via nomi di sempre maggior risonanza nel settore di loro competenza. L’ultimo “acquisto” riguarda nientepocodimenoche i grandi Loons dei coniugi Stax, che alla label francese concedono due chicche come il grugnito freakbeat di High and Lonesome e il potentissimo boogie-beat di Daffodils or Despair a dimostrazione che la band di San Diego è ancora oggi un concentrato di effervescenze sixties come pochissime altre in giro per il pianeta.

Californiani come loro, ma di Los Angeles, sono i Night Times di cui dovrebbe essere imminente l’uscita del secondo album. Il nuovo singolo, sempre per la Rogue, non fa che rendere più trepidante l’attesa: due pezzi crepitanti ed esplosivi nella più classica tradizione garage-punk, con una prestazione vocale clamorosa di Anthony Melandez.

I Low Spirits provengono invece dalla costa est, Rochester per la precisione, lì da dove provenivano i St. Phillip’s Escalator del cantante Ryan Moore, autore di entrambi i pezzi di questo loro terzo 7”. Nel loro caso il primattore è certamente il Farfisa sparato in primissimo piano sia quando è in combutta con un bel fuzz sound come nella clamorosa You Lied, sia quando si fa carico dell’intero pezzo come nel retro di questo singolo ancora una volta strepitoso.

I Goodchilde furono invece una delle tante avventure musicali di Allan Crockford successive allo scioglimento dei Prisoners. Una formazione “clandestina” che girava per il Midwest inglese col nome di Johnny and The Bandits e un repertorio di cover trafugate a due decenni di musica underground. Dopo due album col nuovo nome, alla vigilia del terzo, la band si ritrova in studio un’ultima volta nel 1996 e dopo aver messo su nastro un paio di pezzi, scioglie le fila. Quei due pezzi vengono ora pubblicati per la prima volta dalla Spinout Nuggets accrescendo la nostalgia per quel tipo di suono sferragliante che i Prisoners avevano sdoganato e che proprio grazie alle avventure postume dei suoi componenti, non cesserà mai di colpirci al petto.

Dall’altra parte del globo arrivano invece i Fadeaways, ovvero la più temibile cover band garage mondiale: nelle loro mani anche la polverosa Levitation dei 13th Floor Elevators diventa una bomba atomica di esplosiva ferocia sixties-punk. Più “ragionata” la cover di A Question of Temperature che occupa il lato B di questo disco che esce in formato inedito (9”) per la Uncle Jazz e che anticipa il nuovo album dei ribelli di Tokyo e che non dovrebbe tardare.  

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

 

THE NUTHINS – 1 Step Forward (Twist)

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Jon Mills fonda Shinding! e i Nuthins praticamente in contemporanea, bruciato dal suo amore viscerale per la cultura sixties: siamo nel 1992 e la febbre neo-garage è lentamente scemata e tornata al fenomeno underground che l’aveva vista nascere dieci anni prima.

Dopo un poker di singoli che li vedono passare dalla Merry-Go-Round alla Dionysus e quindi dall’italiana For Monsters all’inglese Detour i Nuthins approdano finalmente alla Twist per la realizzazione del loro album di debutto, fenomenale lavoro assetato di garage-punk come lo erano le band cui si erano ispirati cinque anni prima, con un suono sempre più centrato e una grande capacità di cambiare atmosfere e suggestioni senza mai andare lontano dal giardino infestato del teen-punk di tradizione garage. Sono dodici originali intestati all’intero quartetto e due cover rese in modo magistrale, nonostante una di queste sia l’inflazionata Hey Joe. L’organo Viscount di Bob Taylor la fa da padrona su pezzi come Cold as Ice, l’indemoniata Why Do I Love Ya e poi I Scream Alone, You Can’t Have Me, Everyday, tracce brevissime, che non durano più di quanto sia necessario per attivare l’adrenalina e tenerla sempre a livelli altissimi.

Tutti calci tirati da metà campo che finiscono inevitabilmente in rete.

They came, thay saw, they conquered.    

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE BROOMS – Freakin’ Out (Chaputa!)

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Dopo una gestazione lunghissima, caso più unico che raro nel “settore” in cui i Brooms si muovono, esce finalmente il terzo album del combo portoghese. I dodici pezzi di Freakin’ Out risalgono infatti al 2020 e hanno subìto una serie di ritardi dovuti a lungaggini di missaggio e di sovraincisioni indice di un perfezionismo che grazie al cielo non incide sulla resa “sanguigna” del disco e non ne compromette il risultato.  

Premesso che i capolavori e i dischi imperdibili in area sixties-punk sono ormai sempre più rari, i Brooms si confermano autori credibili e capaci, con pezzi come Garagem Arábica, I Just Can’t Love You Today, Yamahot che alzano il tiro e centrano meglio il bersaglio rispetto alle altre frecce, che pure non lo mancano di molto. Nel frattempo, la formazione sta forse esplorando altri territori, come dimostra il recente tributo agli Hawkwind condiviso con i Democrash.

Lo sapremo, verosimilmente, fra qualche anno.      

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE BUGS – Dark Side (Big Beat)

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Prima di lasciare l’Essex per l’America Lloyd Tripp, il bassista degli psychobillies Vibes, ebbe il tempo e l’idea di mettere in piedi una estemporanea formazione garage-punk di cui ci resta a testimonianza questo ottimo album pubblicato dalla Big Beat e intitolato come un vecchio brano degli Shadows of Knight qui prontamente ripreso assieme all’oscura e bellissima Hate degli Stoics sdoganata dai Gravedigger V un paio di anni prima. Il resto è tutta roba scritta dai cinque, secondo i canoni e le intemperanze tipiche del genere.

A parte il siparietto rockabilly di Sesparilla Sidewalk il resto è un robusto, anche se scolastico, garage-punk che riserva ottimi momenti di euforia primitiva in It’s About Time, One of These Days, Just a Bad Dream (che sarà scelta anni dopo dalla Cherry Red per titolare il box dedicato alle “nuggets” del neo-garage inglese, NdLYS), In Retrospect, End It All. Solo ceffoni e nessuna carezza.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

TH’ LOSIN STREAKS – Last House (Slovenly)

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Alla fine, e per fortuna, non si sono autodistrutti. Anzi, ci mostrano la loro nuova, ultima casa mentre ci presentano altre quindici canzoni di garage punk suonato col piglio dei migliori Fleshtones.

Torbido e festoso assieme.

La produzione è affidata stavolta a Tim Green e nei suoi studi la band californiana ha registrato l’intero Last House, compreso l’omaggio ai Weeds di Fred Cole che ne ispessisce ulteriormente la scaletta, che fa forza su pioli inossidabili come Shiver and Shake, Me ‘n’ Z, Cake and Ice Cream Too, il ruggito mod di Cooler Heads oppure Rue de Montreuil con un’incredibile armonica alla Wally Tax per un risultato complessivo che ne conferma l’enorme statura.

I Losin Streaks vi danno un altro morso al culo.  

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

OS ESTILHA​Ç​OS – Os Estilha​ç​os (Sunnyboy66)

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Dieci originali in lingua madre, ovvero il portoghese con l’accento di São Paulo do Brasil, e due strepitose cover di Going All the Way e Satisfaction Guaranteed sono il bottino accumulato dagli Estilhaços ovvero la band formata da Caio Sergio subito dopo lo scioglimento degli Haxixins e ben presto abbandonata assieme a Felipe Blasi fra le mani della sezione ritmica che, senza demordere, hanno trovato la quadra perfetta con l’ingaggio di Cristina Alves (moglie dell’altro “assassino” Alexandre Romera e qui in veste di produttore oltre che come gradito ospite ai cori, NdLYS) all’organo e Rodrigo Aniceto nel ruolo di frontman e hanno messo sul mercato, non senza difficoltà, questo magnifico album di debutto fitto fitto delle migliori reminiscenze psych-garage di cui siamo ghiotti almeno quanto loro.

Farfisa onnipresente e una caleidoscopica girandola di riff crepitanti quanto quelli dei Music Machine che raggiungono il culmine in pezzi come Das Pedras, Mil Pasos, nella sinistra Um Minuto e nel bellissimo strumentale Tempestade che cingono la fenomenale cover dei Mourning Reign, riportando la staffetta del garage-punk in Brasile, da dove mancava da troppo tempo.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro