VIRGIN PRUNES – A New Form of Beauty parts 1-4 (Italian)

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La bellezza deturpata fiorisce in quattro stagioni diverse, nei campi attorno a Dublino. Un sette pollici, un dieci pollici, un dodici pollici e infine una cassetta sono le crune del rosario che ci condurranno a quella chiesa pagana di …If I Die, I Die e che saranno poi raccolti dalla italiana Italian Records dentro un doppio album che certifica lo status della formazione irlandese, il cui culto ha ormai definitivamente travalicato i confini della setta e sta già infettando il pianeta.  

A New Form of Beauty è un disco viscerale e intenso. Per certi versi inquietante, come nella lunga sinfonia per sole voci che introduce i dieci minuti di Beast (Seven Bastard Suck), nel canto da bimba posseduta di Din Glorious o fra i sinistri tintinnii di Abbágal. Un senso di oppressione e di catarsi si insinua all’ascolto di queste sciamaniche cacofonie destrutturate che a volte sembrano intonate da un malato di mente (come quello che intona l’innocua melodia di Ya Ya di Lee Dorsey, che ride e balbetta dentro l’opprimente coltre di rumore brado di Brain Damage, NdLYS), tutta la bellezza epistemologicamente connotata ci crolla addosso trasformandosi in qualcosa che non riusciamo a comprendere.

Si compie il crepuscolo degli idoli profetizzato da Nietzche.

Ogni Dio è morto. L’uomo divora sé stesso.

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro  

RED LORRY YELLOW LORRY – Paint Your Wagon (Red Rhino)

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Dopo aver declinato l’offerta di Colin Newman, i Red Lorry Yellow Lorry si producono da soli il loro secondo album, accorciando le distanze fra Leeds e Manchester e dunque stringendo la forbice che li separa(va) dai Joy Division. Il gruppo di Curtis è ben più che un modello, in molte delle nuove tracce del gruppo, che in realtà molte non sono: anche il nuovo album non supera la mezz’ora di durata. Tuttavia, al di là delle analogie, il suono dei Lorries evidenzia un più marcato ardore ritmico che ne caratterizza fortemente lo stile e che nel polverone alzato dall’iniziale Walking on Your Hands potrebbe benissimo finire su una delle tante cassette di cow-punk che circolano copiose in quel periodo.

Malgrado quelli che potrebbero passare per difetti di progettazione e deficit di personalità, Paint Your Wagon non ha nulla da invidiare ad altri dischi goth-rock del periodo (ormai in fase calante e sempre più prossimo alla deriva splatter-gloom) e rilancia le quotazioni della band di Leeds tra gli aficionados del post-punk più tenebroso dimostrando adesione ai modelli fondativi del genere.  

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

TSOL – Change Today? (Enigma)

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I TSOL di Change Today? sono un’altra band rispetto a quella dei due album precedenti e lo sono innanzi tutto per un motivo “organico”: la band californiana ha visto la defezione del batterista, del tastierista aggiunto e soprattutto del carismatico cantante Jack Grisham il che significa, nella quasi totalità dei casi, un importante tracollo identitario col pubblico.

In secondo luogo, la virata verso la new-wave del disco precedente viene adesso accentuata ma facendo a meno delle tastiere, il che si traduce in un goth-rock chitarristico che aggancia quello degli inglesi Cult, viste anche le inclinazioni morrisoniane del nuovo cantante Joe Wood. Dunque, Change Today? è in qualche modo il disco che più di ogni altro lega in maniera definitiva il death-rock americano al rock gotico d’oltreoceano. Il gruppo americano non si fermerà qui, nella sua camaleontica scelta di adattarsi a stili diversi (arriveranno poi lo sleaze rock e il glam), fino a perdere del tutto la sua identità stilistica se mai ne abbia avuto una. Se appare già evidente in questa fase il bisogno di ridefinire continuamente il loro suono i TSOL si dimostrano capaci però di portare a casa un risultato dignitoso: il basso viene portato in primo piano (Just Like Me, Red Shadows) e l’innesto della seconda chitarra portata a tracolla da Wood permette un gioco di rifrazione chiaroscurale di buon effetto (American Zone, In Time, It’s Gray, How Do). Change Today? rimane l’ultimo atto credibile dei TSOL prima di trasformarsi in caricature.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

45 GRAVE – Sleep in Safety (Enigma)

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Eroi del punk gotico californiano al pari dei Christian Death, i 45 Grave non uscirono mai dallo stato di cult-band, godendo appena di un postumo quanto fugace interesse solo quando Paul Cutler avrebbe raggiunto la notorietà con i Dream Syndicate. In effetti il “cono d’ombra” dei Christian Death avrebbe gravato stilisticamente su di loro fino ad oscurarne le potenzialità, che sono quelle espresse sui primi singoli e sul loro album di debutto, che pagava anche pegno per essere uscito quando la fascinazione (anche estetica) per il gotico e la dark music aveva in parte perso la sua attrattiva e il pubblico cominciava a desiderare musiche meno oppressive. E così quella che sembrava a tratti una versione ossianica dei primissimi Blondie (o appena più sinistra dei B-52’s come nei siparietti Fifties di Surf Bat e Riboflavin) furono ricacciati con un “vade retro, Satana” nell’ombra da cui erano venuti col loro look da vampiri, le loro bare, le loro ragnatele, il loro organo doorsiano, le loro dissonanze magnifiche e il loro punk-rock sanguinolento che si muoveva tra vampiri, spettri, cimiteri e rappresentazioni un po’ pittoresche del malvagio.           

Sapeva un po’ di ruggine, il suono dei 45 Grave. Nel senso buono.

E in fondo, il sangue non ha quel medesimo gusto dolciastro del ferro?  

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

SWANS – The Beggar (Young God)

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Specimen assoluti del gotico, gli Swans proseguono la loro marcia ipnagogica che ci conduce a quella fase onirica che innesca la valvola dell’incubo e ci introietta in una labirintica e affannosa corsa verso una qualche via d’uscita che troveremo solo dopo due ore.

Due ore e un minuto, con esattezza.

Tanto dura infatti The Beggar, l’impegnativo album del 2023 che è una città di ghiaccio su cui Michael Gira impera da monarca assoluto, nonostante si tratti in realtà di una versione ampliata (nell’organico e nei pezzi) di quanto realizzato in solitudine durante la pandemia col titolo di Is There Really a Mind?, realizzato con il contributo economico dei fans. L’”aggiunta” riguarda sostanzialmente la lunghissima The Beggar Lover, quarantaquattro minuti di trance ipnotica in cui le note tirate all’inverosimile, le voci stregate e i cori cherubini creano un inquietante stato di OBE, di fuga dal corpo, una Rundetårn attraverso cui puoi ascendere verso il cielo o scivolare in una spirale discendente verso gli inferi.

Gli Swans sono l’unica band al mondo capace di denudarsi di fronte alle fiamme della trascendenza. Di lanciarsi nel fuoco e di bruciare all’infinito.   

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE SISTERS OF MERCY – Floodland (Merciful Release)

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Ancora più gotico del debutto, Floodland rappresenta de facto l’esordio solista di Andrew Eldritch, qui coadiuvato dalla splendida regina gotica Patricia Morrison. Le chitarre sono adesso estromesse quasi del tutto dal sound della band in cui sono un’algida batteria elettronica, dei sintetizzatori e un basso tenebroso ad indicare la direzione, puntando diritte verso la glaciazione. Oppure lasciando il passo alle note di un mestissimo pianoforte quando la vocazione da crooner di Eldritch si spinge oltre la soglia del lecito, come nella ballata 1959 a lui stesso dedicata. Il risultato è un’allegoria della cultura gotica sulla falsariga di Phantasmagoria dei Damned. Carne marcia tirata fuori dal congelatore e passata al microonde da una rockstar annoiata. Messa all’aria ad ammuffire, con le sue cancrene ben in vista e le ossa divorate dall’osteoporosi.

I Sisters of Mercy ci portano nel freddo consegnandoci in mano un disco da portare nel gulag e che non scalda. E che a stento ci tiene compagnia.

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE DAMNED – Phantasmagoria (MCA)

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Susie Bick, la futura signora Cave, vestita da strega.

Dave Vanian, il futuro marito di Patricia Morrison, agghindato da vampiro.  

Fatto fuori Captain Sensible, i Damned si attaccano definitivamente al vagone goth che proprio in quel momento sta transitando nelle parti alte delle classifiche e furoreggiando nei canali video. È il momento in cui se ne celebra il declino artistico alzando in alto i calici dell’avvenuta consacrazione commerciale, non priva di compromessi. Dalla torre più alta del suo castello, da dove scruta l’orizzonte come un corvo, Dave capisce che è il momento di scendere in picchiata e completare la lenta trasformazione dei Damned da gruppo punk a band neo-gotica. Non più un salto nel vuoto ma un atto compiuto e in qualche modo salvifico: il nuovo contratto con la MCA e l’airplay garantito sui canali audio/video fanno di Phantasmagoria un successo clamoroso e pur facendo arricciare il naso ai fans, ne conquista di nuovi. Clavicembali e organi da monastero fanno la loro comparsata su pezzi come Trojans e Sanctum Sanctorum, eccedendo spesso anche nel cattivo gusto ma canzoni come Grimly Fiendish, Street of Dreams, There’ll Come a Day (introdotta e interrotta dal riff di Dirty Old Man degli Electras, come estremo omaggio al Sixties-sound delle garage band amate da Dave, NdLYS) e The Shadow of Love consacrano Dave Vanian come il nuovo crooner delle tenebre, con le sue camice a sbuffo, le sue giacche da conte ottocentesco e il suo ciuffo bianco a fare pendant col bianco cadaverico del viso. Da allora i Damned girano nelle terre di mezzo. Non più punk, non ancora pop. Pipistrelli per una stagione come in quella immediatamente precedente erano state api intente a succhiare nettare beat-punk. Come attori pronti a cambiare pelle e vestiti, secondo ingaggio. Secondo cachet.       

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

FRA LIPPO LIPPI – In Silence (Uniton)

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Credo che la poca considerazione con cui stiano stati da sempre trattati i Fra Lippo Lippi sia dovuta al moniker non troppo invitante (ispirato all’omonimo monologo vittoriano e, di riflesso, al monaco/pittore rinascimentale Filippo Lippi) che ne ha un po’ deciso le sorti, nonostante il coinvolgimento diretto di Rune Kristoffersen (il deus-ex-machina della stimatissima Rune Grammofon, dal cui sito peraltro se provate a cliccare sulla homepage del gruppo vi troverete catapultati in un universo indonesiano che non ha nulla a che fare con la band, NdLYS) non solo come autore, musicista e, limitatamente al primo album, di cantante del gruppo ma come ideatore e fondatore della formazione.

In realtà, a dispetto dell’infelice nome scelto, i Fra Lippo Lippi erano musicalmente moooolto meno frivoli di quanto potesse far supporre il nome buffo che si erano scelti. Erano invece, detto alla spicciolata, i Joy Division norvegesi e comunque fra i più credibili eredi della formazione mancuniana. Musica a tratti soffocante, asfittica, ipoperfusa, affine anche a quella dei Cure di Seventeen Seconds (del quale Recession ricalca forme e atmosfere) e dei Sound, piagnucolosa e dolorante. Ma al di là delle sue “inclinazioni” fin troppo evidenti, la musica sparsa come manna nera sui solchi di In Silence riesce ad essere convincente e a fare dei Fra Lippo Lippo “i grandi incompresi” della dark-wave europea.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE MARCH VIOLETS – The Palace of Infinite Darkness (Jungle)

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Violette (dal nome tristemente ispirato a quegli opportunisti che dopo l’autoproclamazione di Hitler come Führer corsero ad iscriversi al partito nazista, NdLYS) cresciute all’ombra del salice piangente dei Sisters of Mercy i March Violets non arrivarono mai, malgrado un crescendo di pubblicazioni in formato minore, alla realizzazione di un vero e proprio album se non nella vecchiaia.

Fra i petali dei Violets sarebbe sbocciata poi quella pianta velenosa di Rosie Lugosi, allora ancora matricola nell’Università di Leeds e alter-ego femminile del barbuto Si Denbigh. Il cofanetto che ne celebra la storia esce a ridosso della notizia che li vuole nuovamente insieme e pronti ad imbarcarsi in un nuovo tour e a dare un seguito al travagliato Made Glorious e allo sfortunato Mortality ibernato a causa dell’infarto che colpì Denbigh durante la realizzazione.

In attesa di un nuovo futuro si torna dunque a pescare nel passato, nell’epoca in cui i March Violets erano stati fra i protagonisti del Futurama, il più grande goth-festival inglese dei primi anni Ottanta e cogliendo l’occasione per festeggiare il quarantennale del primo singolo. Si va quindi dal 1982 al 1987 lungo una selva di singoli, extended versions, session radiofoniche e (nove) inediti del periodo che colmano ben cinque compact disc. Realizzato con estrema cura e corredato di un esaustivo pamphlet firmato dalla stessa Rosie The Palace of Infinite Darkness è il Cofanetto Sperlari di ogni fanatico del goth.

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

CHRISTIAN DEATH – “Ashes” (L’Invitation Au Suicide)

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Dopo i primi due album i Christian Death si sfilano le lamette dalla carne e restano a contemplare il sangue che hanno versato.

Lo psicodramma sfuma lentamente in melodramma.

Il suono di “Ashes”, perdute le asperità di Only Theatre of Pain e Catastrophe Ballet diventa una installazione neo-gotica che sfocia nella canzone decadente del kabarett germanico, del quale adottano in parte anche l’idioma. La musica del gruppo si carica di una sensualità macabra e si congela in una voyeuristica voluttà tardo romantica e vampiresca che appare come un compromesso in parte irrisolto tra la visione artistica di Rozz Williams e quella di Valor. L’ammorbante death-rock degli esordi si ritaglia uno spazio nella bella Face ma anche qui tutto viene filtrato da una visione d’insieme più prosaicamente teatrale e meno spontanea, pur se innegabilmente affascinante, che sarà il vero mattone fondante di tutto il goth-rock di seconda generazione, quello che reciderà del tutto i contatti con il post-punk per stringere un patto d’acciaio con la musica sinfonica e il neo-prog.    

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro