Gaber e Fossati si annusano l’un l’altro già all’epoca di La mia generazione ha perso.
Il primo lo vorrebbe come produttore, come raffinato “sarto” per le canzoni che sta preparando quando la malattia lo sta già divorando. Il secondo ambirebbe ad averlo al suo fianco per un progetto poi abortito di spettacolo teatrale. Alla fine ad occuparsi del disco di Gaber finirà una buona parte dell’entourage di Fossati (il figlio Claudio, Riccardo Tesi, Pietro Cantarelli, Beppe Quirici) ma non il cantautore genovese, troppo impegnato nel suo progetto Not One Word.
Quella collaborazione si realizza, prodigio della tecnica, oggi. A quindici anni dalla morte di Gaber. Si intitola come quella canzone che Gaber progetta come estratto dall’ultimo album cui riesce, tra mille sofferenze, a lavorare. Ma quel pezzo, Le donne di ora, non solo non verrà pubblicato come singolo ma, in un ultimo ripensamento, verrà addirittura eliminato dalla scaletta di Io non mi sento italiano.
Quel pezzo, di cui si era già parlato nella bella biografia scritta da Sandro Neri un decennio fa, riaffiora mentre Fossati ha già pensato di “restaurare” una parte del repertorio di Gaber per consegnarlo in mano ad una generazione che vede in lui un nome intoccabile ma che, nei fatti, non ne conosce forse nessuna canzone. È dunque un disco che ha più valore “didattico” che altro. Un sunto molto, molto ristretto (“tascabile” lo definisce Fossati) su un arco temporale di contro molto ampio del Gaber autore di canzoni.
Un’operazione sicuramente azzardata e molto poco “propagandistica”, vista la scelta delle quindici tracce selezionate in un repertorio vastissimo da cui sarebbe stato gioco facile prelevare canzoni e “ammonimenti” ad effetto (I reduci, La peste, Qualcuno era comunista, La libertà, Destra-Sinistra, I borghesi, Io se fossi Dio, tanto per dirne di qualcuna). E invece no, Fossati e la Fondazione guidata dalla figlia Dalia scelgono di sviscerare soprattutto il Gaber un po’ demodè di Porta Romana, Le strade di notte, Chissà dove te ne vai, La ballata del Cerutti, addirittura quello della Rolling Crew disinnescando di fatto il rischio di illecita adozione politica di cui Gaber è stato suo malgrado spesso vittima. Le donne di ora ha dunque un basso profilo e ci restituisce in gran parte il Gaber meno attuale, meno pungente, meno guerriero, forse anche quello meno necessario e dubito fortemente che possa far breccia nel cuore delle nuove generazioni, per le quali forse sarebbe il caso di elaborare un secondo lavoro più concettualmente controverso ed intrigante.
Franco “Lys” Dimauro