ROBERT GORDON with LINK WRAY – Fresh Fish Special (Private Stock)

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Dissipate del tutto le iniziali remore, Link Wray trova in Robert Gordon l’erede naturale di Elvis Presley, l’eroe bianco del rock and roll morto per triste ironia del destino proprio nel momento in cui i due hanno appena finito di caricare gli strumenti in chiusura della serata al Bottom Line che li consacra come la coppia rock ‘n’ roll dell’anno.

Un pioniere e un nuovo fenomeno, fianco a fianco. Uno alla ricerca del successo perduto, l’altro a caccia di quello sognato.

Uno con due basettoni improbabili e il chiodo di pelle, l’altro con il ciuffo impomatato e in zoot-suit alle prese col classico suono di Elvis, ballate incluse (If This Is Wrong, con i Jordanaires di Presley ai cori).

Dopo il disco del 1977 tornano l’anno dopo con Fresh Fish Special che è, se possibile, ancora più oleografico del primo con i suoi cori doo-wop a caricarlo di un’ulteriore dose di atmosfera d’antan. Le cose migliori sono le cover di The Way I Walk e di Lonesome Train (on a Lonesome Track), dove il maestro Wray sguaina la sua arma e offre la spalla perfetta al giovane compare.

Il resto è una foto seppiata. Il “come eravamo” del rock ‘n’ roll prima dei Beatles e dei Beach Boys.

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

 

THE CHARLATANS – Between 10th and 11th (Situation Two)

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Between 10th and 11th supera di qualche spanna il già ottimo debutto dei ciarlatani di Manchester. Gli angoli vivi dell’esordio vengono arrotondati dalla mano sapiente di Flood (che in quel periodo sta producendo Honey’s Dead dei Jesus and Mary Chain e Songs of Faith and Devotion dei Depeche Mode) e la band sembra mettere sul tavolo una combinazione di carte già perfetta. Insomma, il casco è prodigo di frutti e le banane sono belle mature, come rivela apertamente la copertina. I suoni acquistano una rotondità perfetta ma anche una sottile patina psichedelica priva di qualsiasi ridondanza che non sia funzionale alla costruzione di piccole manifatture pop. Il perentorio organo di Weirdo che si alterna al vibrato della chitarra è il pezzo nodale dell’album, anticipando già di molto quanto faranno i Kula Shaker qualche anno dopo ma l’esempio di formale coesione stilistica raggiunto dai Charlatans è dimostrato soprattutto dall’irresistibile trittico Ignition, Page One e Tremelo Song, godibilissime canzoni adatte al ballo ed epicamente discendenti come quelle dei Verve che verranno.

Between 10th and 11th apre definitivamente per quanto inconsapevolmente le porte al brit-pop portando a compimento il lavoro degli Stone Roses e dei Primal Scream di Screamadelica. I Charlatans coi loro capelli a caschetto diventano l’emblema della giovane Inghilterra che vuole tornare a divertirsi senza freni.

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

ULTRAVOX! – -ha!-ha!-ha! (Island)

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Il dubbio di aver sprecato un’opportunità venne a tutti: alla band, all’etichetta, allo stesso Brian Eno che aveva tentato di fare degli Ultravox! i nuovi Roxy Music. E la corsa ai ripari fu veloce: il secondo album degli Ultravox! uscì appena otto mesi dopo, cercando di acciuffare quel 1977 che stava già finendo e che loro avevano inaugurato con un disco di vecchio pattume riciclato.

-ha!-ha!-ha! suona dunque, paradossalmente, più punk del debutto. E al medesimo tempo più innovativo, che è quel che la band si era prefissata come scopo e che invece aveva poi buttato alle ortiche.

Young Savage, ROckWrock, The Frozen Ones, Fear in the Western World sono quel colpo di coda punk che mancava sull’esordio e che in The Man Who Dies Everyday e While I’m Still Alive diventava più sofisticato e anche più convincente. E se Artificial Life rappresentava dove erano stati poco prima (ovvero i Roxy Music), Hiroshima Mon Amour anticipava dove volevano andare subito dopo, e dove sarebbero presto andati: verso un synth-pop un po’ aristocratico e sempre più glaciale, completamente svincolato dalle vecchie “macchine” rock.

Il punto esclamativo, dopo essersi replicato in una risata amara, stava per essere abbattuto definitivamente.  

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE CHRISTIAN FAMILY – The Raw and Primitive Sound of The Christian Family (Voodoo Rhythm)

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Fratello Demonio è Daniel Shircliff dei Freaks of Nature (se non sapete chi siano, passate oltre, che appartenete alla parrocchia sbagliata, NdLYS) mentre Sorella Anna è Ann Seletos dei Cherie Cherie. Dopo aver sentito i sermoni del Reverendo Beat-Man si sono entrambi convertiti al primitivismo rock and roll e hanno iniziato, assieme, la stesura di questa enciclica. Pestano e ci fanno le carni nere, un po’ come i compagni di etichetta Devils, ma l’approccio del duo americano è meno estremo, meno deragliante, più diddleyano.

La partita è giocata dentro una giungla di riverberi, di elettricità spuria e valvolare, di ritmica essenziale ma (e questo li distingue nettamente dal duo napoletano) anche una proiezione melodica verso le all-girls band degli anni Sessanta, come una Zebra Stripes recalcitrante e brada.

Una roba come Time to Pray, coi suoi mille riverberi da caverna, è un torvo riadattamento e ulteriore svilimento della logica lo-fi che era alla base dei Gories ma anche dell’”accomodamento” fra armonia e rumore praticata dai Jesus and Mary Chain ad inizio carriera. Anche se qui cambia del tutto la prospettiva, meno crucciata e neo-esistenzialista e più incline ai peccati, carnali e non, del rock and roll e alla sue origini tribali. Un atto di fede, in qualche modo.      

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE KIDS – The Kids (Philips)

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Non sembravano destinati ad andare oltre il primo album, i belgi Kids. E invece quel che sembrava una temporanea infatuazione per quel che arrivava dall’Inghilterra si è trasformata in una carriera pluridecennale, ovviamente con tutte le ragnatele che la cosa comporta. Nel 1978, quando l’Inghilterra guarda già al post ovvero a quello che i punk avrebbero dovuto fare “dopo” il ’77, i Kids pubblicano il loro album di debutto che è invece ancora farcito di tutte quelle cose che i Damned avevano già lasciato in disuso da un po’ ma che i Buzzcocks continuavano ancora ad armeggiare, tutto sommato.

Non era un disco incredibile, The Kids, ma aveva una bella scorza e anche un pugno di belle canzoni (I Don’t Care la migliore, This Is Rock ‘n Roll, I’ll Get You, Baby That’s Alright subito dopo) e un diffuso sense of humour che illumina i cilici borchiati di Do You Love the Nazis, Money Is All I Need e il banale giro rock and roll di I Wanna Get a Job in the City.

Nonostante un paio di “giri a vuoto” come Old DJ’s e For the Fret, il debutto dei Kids resta il miglior testimone del punk “old-school” della futura capitale dell’Europa.  

 

                                                                                   Franco “Lys” Dimauro

STORMY SIX – Un biglietto del tram (L’Orchestra)

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In Italia può succedere che la gente vada in visibilio per i Modena City Ramblers e che quello stesso pubblico sconosca in maniera quasi totale il lavoro degli Stormy Six, band da corteo per antonomasia ma ovviamente non solo quello. Un gruppo talmente scomodo, talmente schierato che il suo nome è stato cancellato dalla memoria collettiva, dalle varie celebrazioni degli anni Settanta, dai caroselli televisivi e dalle trovate editoriali che pur limando qua e là hanno deciso che forse si poteva speculare anche sulle figure di De André e Rino Gaetano ma che Franco Fabbri ed i suoi Stormy Six forse era meglio lasciarli sulla grondaia, da dove avrebbero in ogni caso continuato a cacare ma senza dar fastidio alla telecamera.

Un gruppo col corpo d’istrice, capace di passare dal beat alla canzone di protesta senza alcuno strappo. E poi da questa alla musica per teatro. E poi ancora da questa al prog. E quindi, il 12 marzo del ’78, gettare le fondamenta per il Rock in Opposition, fiera manifestazione di indipendenza dalle logiche del mercato musicale e dall’ingordigia dei suoi uomini in doppiopetto. Un gruppo che non sceglie di accavallare le gambe e mostrare le mutandine ma che decide, primo in Italia, di autogestirsi in cooperativa per distribuire la propria musica fuori dai palazzoni delle grandi etichette discografiche.

Un biglietto del tram è il disco che inaugura la cooperativa L’Orchestra con numero di catalogo OC1, proprio mentre gli anni Settanta sono arrivati a metà percorso.

Un disco, un gruppo che parlano di cose che oggi possono suonare antiche come il banco di un rigattiere ma che nella metà degli anni Settanta accendevano le coscienze come teste di cerini. Un disco dove sono gli eroi partigiani e le lotte proletarie e studentesche ad essere protagonisti, in barba ai personaggi epici che avevano popolato i concept-album della prima metà del decennio.  

Piccoli eroi già dimenticati allora, cancellati dall’abbaglio del boom economico e poi pasticciati col sangue degli anni di piombo. Nomi che ci ammoniscono dalle loro lapidi, ricordandoci quanto la banalità delle nostre vite sia complice del gioco del più forte e di come l’ombra della sua bandiera abbia cancellato la nostra.  

                                                                                              Franco “Lys” Dimauro

FONTAINES D.C. – Skinty Fia (Partisan)

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In un mondo 3.0 ormai spaccato su tutto, figurati se anche il nuovo disco dei Fontaines D.C. non risulti divisivo fino alla soglia della rissa verbale. Il motivo è che, al terzo disco, la band irlandese sembra aver finalmente imboccato una strada personale sganciandosi dagli ingombranti paragoni suscitati dai primi due album che, in quanto ingombranti, erano diventati ostacoli difficili da scavalcare e da aggirare. Skinty Fia riesce in questa impresa. Lo fa sacrificando qualcosa in termini di lucentezza ma conquistando un’identità definita anche se più disturbante. Volutamente disturbante, come dimostra l’apertura affidata ad una traccia straniante come il necrologio di In ár gCroíthe go deo (che assieme al dub post-industriale di Nabokov che lo chiude, rappresenta la vetta dell’intero lavoro, NdLYS).

Skinty Fia prova a prendere le distanze dai modelli di riferimento del gruppo di Dublino (i Fall, i Joy Division, i Sound) e suona come fosse stato scritto all’alba dell’Apocalisse, nella notte più lunga e allo stesso tempo più corta di ogni tempo. Non come se non ci fosse più tempo ma come se quel tempo fosse quello più prezioso che mai ci sia stato concesso. Il tempo della meditazione definitiva, dell’atto yogi assoluto, dell’anello tantrico che salda definitivamente il nostro passato con quello che verrà, qualunque cosa sia. Quel tempo allungato che si muove fra le imposte chiuse la sera su un micromondo che conosciamo in ogni suo interstizio e quelle riaperte il mattino successivo su un mondo che potrebbe essere scomparso, rubato durante la notte, spostato altrove, lasciandoci il dubbio che ce lo siamo solo immaginato. Che è un po’ quello che è successo a noi nello spazio temporale fra il precedente disco dei Fontaines D.C. e questo nuovo.

Ora sta a voi aprire le imposte.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE REVELATORS – We Told You Not to Cross Us… (Crypt)

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Tim Warren li teneva sott’occhio da un po’, da quando li aveva sentiti in radio fare un’intera session di vecchi brani di Billy Childish, uno dei suoi eroi di sempre e dei suoi pupilli quando aveva messo in piedi la Crypt Records. Per il suo storico marchio decide dunque di pubblicare un intero album di questo trio del Missouri che devasta a suo modo il garage-rock come se fosse qualcuno da picchiare a sangue fino a spezzargli le gambe. L’atteggiamento indocile della band è ben rappresentato dallo scatto da guerriglia urbana scelto per la copertina ma lungo We Told You Not to Cross Us… ci si imbatte anche in uno stopposo cespuglio blues come Hillbilly Wolf, nel rockabilly ferroviario di Serve the Man, nell’albero a camme di Come Back Baby (che altro non è se non la celebre I Wish You Would di B.B. Arnold) e nel passo alla Houtenbeen di Ain’t That Hatin’ You Baby.

I pezzi più fetidi come Just Fine, Earthshaker, Yeah!, Riverplace Courtyard on the Square, Coming Unwound, You’ve No Mind risplendono invece del fulgore estremista di band come Mummies e New Bomb Turks: una mannaia che stacca di netto la testa dal corpo del rock and roll e la esibisce come un trofeo sulle nostre vite ordinarie.  

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE FLAMING LIPS – Oh My Gawd, The Flaming Lips (Restless)

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Sembra un Dalì, ma non lo è.

È un Flaming Lips, che è praticamente molto simile.

Salvador Dalì e le sue visioni surreali sono ospiti d’onore annunciati su The Ceiling Is Bendin’, ma tutto il secondo album della formazione americana è piena di accostamenti onirici e stravaganti quanto quelli del Maestro.

Oh My Gawd ripropone, ampliandole, le idee espresse da Hear It Is, con un affinamento tecnico che ne accresce il potenziale e che adesso, più che cuginastri del grunge li rivela come i progenitori diretti dei Motorpsycho (prego ascoltare Can’t Exist, One Million Billionth of a Millisecond on a Sunday Morning o Can’t Stop the Spring). La bellezza, quella vera, si dipana soprattutto nelle trame acustiche e spoglie di Ode to C.C., Pt.2, Love Yer Brain, Can’t Exist e Thanks to You mentre i tentativi di aggredire e sfigurare con l’acido lo space-rock o di dare un’ultima cavalcata al puledro imbizzarrito dell’hardcore alla maniera dei Soul Asylum risultano meno riusciti rispetto ai, seppur più artigianali, tentativi del debutto ma tutto contribuisce a fare dei Flaming Lips il nuovo avamposto dell’acid-punk, figliando una nuova generazione di mostri.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

DEAD KENNEDYS – Plastic Surgery Disasters (Alternative Tentacles)  

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Politica

Rabbia

Energia

California

Ironia

Punk

Impulso

Tempra

Entropia

Violenza

Oltraggio

Lucidità

Isteria

Surf-music

Sberleffo

Integrità

Mani

Epicureo

Veloce

Orgoglio

Licenzioso

Motteggio

Emozione

Nichilismo

Tenacia

Efferatezza                                                                         

!    

   

$o$tantivo più, $o$tantivo meno, gli ingredienti sono i medesimi del disco di debutto. Quel che manca a Plastic Surgery Disasters rispetto a quell’altro è fondamentalmente la presenza di un brano-anthem, del pezzo da aspettare trepidanti a fine set, per mandare definitivamente in pezzi la sala. Per il resto il secondo album dei Dead Kennedys è un parodistico carro di Carnevale che scorre lungo le strade americane, schernendo politici, militari, preti, wasp e benpensati, dispensando trucide canzoni hardcore gonfie di polvere da sparo come Riot, Bleed for Me, Buzzbomb. Trust Your Mechanic, Government Flu che non appena toccano terra sono in grado di provocare voragini che potrebbero inghiottire un’intera città americana. Molto probabilmente Washington D.C..

                                                                                            Franco “Lys” Dimauro