Non capita tutti i giorni di vedersi prodotto il proprio disco di debutto da uno come Mick Jones.
E, a dirla con obiettività, non capita a tutti di incrociare una band come i Libertines, con un suono così profondamente british e allo stesso tempo così sfatto, così strafottente, così nervosamente inquieto, così punk pur senza mostrarne le convenzioni ma sfoderando un suono a tratti molto affine a quello altrettanto spettinato degli Strokes, attivato da un’analoga voracità giovanile e da un narcisismo che è elemento basico di una rock ‘n’ roll band che si risolve a volte in un garage rock stilizzato come quello di Horror Show, talaltra in fughe alla Undertones come Up the Bracket o I Get Along o in un rockabilly baldanzoso alla maniera dei Woodentops come quello di Vertigo. Oppure sparando in cielo una stella luminosa come Time for Heroes, epica e decadente meraviglia tutta bagnata di spruzzi Buzzcocks e Slaughter and The Dogs, di sputare una The Boy Looked at Johnny dove sembra di ammirare John Cooper Clarke alla guida di un complesso doo-wop, di farcire Begging con un solo di chitarre dove convergono freakbeat e punk.
Piace, di Up the Bracket, la sua aria maleducata. La sua urgenza. Ma anche, visto che siamo venuti per cantare e non solo a far caciara, l’inesauribile guizzo melodico che fa capolino come l’invitato perfetto che arriva proprio quando pensi la festa alcolica sembra sia ormai al capolinea e ti resti solo da spaccare il mobilio della camera da letto oppure sboccare sulla moquette. E invece decidi di restare ancora.
Franco “Lys” Dimauro