TEENAGE HEAD – “Frantic City” (Attic)

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Dopo il bellissimo disco di debutto i Teenage Head proseguono verso una canonizzazione estetica che passa fondamentalmente attraverso una rilettura ortodossa del rock and roll di base: le riletture di Somethin’ Else, Wild One e Brand New Cadillac e pezzi autoctoni come Somethin’ on My Mind e Those Things to Do ne chiariscono gli intenti lasciando solo una piccola feritoia da cui il vecchio amore per il punk-rock newyorkese può ancora filtrare e prendere forma nei cinque minuti abbondanti di Infected.

Il pezzo più bello del lotto è però Total Love, piccolo gioiello power-pop che illumina la prima facciata del disco. Disgusteen è invece la traccia più ambiziosa, quella in cui la band canadese prova ad andare oltre il panorama rassicurante che ci hanno mostrato lungo tutto l’album e a mostrarci qualcosa di inedito, una sterzata inaspettata verso una sorta di “drama” musicale che non troverà purtroppo ulteriore sviluppo.    

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

MOTORCYCLE★BOY – Popsicle (Triple X)

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I Motorcycle★Boy furono una delle più sottovalutate band rock and roll che affollarono il lungomare californiano a cavallo fra gli anni ’80 e il nuovo decennio. Rapidamente assimilato alla filiazione di gruppi hair-metal e glam nati dopo il successo dei Guns N’ Roses, il quartetto di Los Angeles era invece animata da un sano spirito r ‘n’ r che trovava in Johnny Thunders il suo vate ma che esibiva pure fortissime influenze psychobilly, garage e punk.

Nessuna ostentazione, nessun irritante falsetto, nessuna posa da rockstar sfatta ma solo una grandissima affabulazione e un sincero amore per tutto ciò che è marcio, dagli Stooges ai Cramps fino al boogaloo rock dei Raunch Hands e dei Savages di Barrence Whitfield.

Sylvain Sylvain si occupa della produzione e lo fa in maniera eccellente, senza mai cedere alla tentazione di fare dei Motorcycle★Boy l’ennesima band di epigoni dei New York Dolls e rendendo giustizia alla bellissima voce di Francois Haroldson, uno dei migliori cantanti sulla piazza e non solo nella città degli angeli.

Non ci sarà dato ascoltare altro di questa band fenomenale cui d’altra parte non interessava farci ascoltare altro se non questo concentrato di rock and roll in cui pochi infilarono la cannuccia, preferendo dissetarsi con bibite gassate e piene di zuccheri. Chissà dove piace infilarla a voi.   

 

                                                                           Franco “Lys” Dimauro

THE SEX ORGANS – We’re Fucked (Voodoo Rhythm)

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Un pene monoculare ed una vulva dai denti di squalo venuti dalla galassia di Andromeda. I Sex Organs prendono a morsi il rock ‘n’ roll agghindati proprio così, come li vedete in copertina.

Dietro quei costumi si celano in realtà Jack Torera dei Jackets e Bone degli Anomalys, con la dichiarata missione di tentare l’ennesima opera di evangelizzazione dei terrestri al rock-spazzatura e al culto di Bo Diddley (qui declinato in dildo).

Le parabole di questo secondo libro sono dodici, tutte cariche di allusioni o di espliciti riferimenti sessuali. Il suono si sposta da un efficace minimalismo (Asshole, Oxytocine, Let’s Fuck Around) a brutali assalti al rumore bianco come Hair in My Mouth, Underpants, Fuck All the Time o le seghe elettriche che tagliano il robusto tronco rock and roll di We’re Fucked.

Ereditando la passione per il suono basico dei primissimi Cramps e dei Gories, i Sex Organs dimostrano di poterne ereditare anche lo status di band di culto.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

PAT TODD & THE RANKOUTSIDERS – Keepin’ Chaos at Bay (Hound Gawd!)

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Tredici nuove canzoni firmate Pat Todd. Che, per chi non lo sapesse, è una delle “griffe” migliori ancora in circolazione quando si parla di rock and roll nella sua accezione più sanguigna, tanto da far dichiarare a Blaine Cartwright dei Nashville Pussy che al suo confronto tutti gli altri, lui compreso, sono solo delle copie. Tredici, più una firmata Leonard Cohen, che comunque stenterete a riconoscere come sua, in questa sua nuova armatura cow-punk.  

Il contenuto di Keepin’ Chaos at Bay ne conferma l’attitudine inflessibile dimostrata in quarant’anni di carriera. Quaranta anni a questo punto equamente divisi fra i Lazy Cowgirls e i Rankoutsiders che ne hanno preservato lo spirito.

Il nuovo album arriva dopo un tour che ha visto Pat portare in giro le sue canzoni da solo, spogliandole dal fragore che invece torna qui impetuoso, sull’onda di un rock tutto sommato “classico” laddove per classico possiamo intendere tanto gli Stones quanto Townes Van Zandt, Dylan, Thorogood, Jeff Dahl, Johnny Thunders e i New York Dolls fino ai Flaming Sideburns. Sono canzoni stradaiole, quelle dei Rankoutsiders. Che della strada si portano addosso l’odore di gas e spazzatura e le luci, ora accecanti ora torbidamente soffuse. Pat Todd è la talpa metropolitana della baia di Los Angeles.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

EROTIK TWIST – The Street, the Night, the Rebel (autoproduzione)

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Il rock and roll passa attraverso gli strumenti degli Erotik Twist come dentro ad un budello contratto uscendone asfissiato dai suoi stessi gas. Un suono estremamente riverberato e urbanamente tribale tanto da riscoprire un pezzo-chiave del genere come Ratamahatta dei Sepultura, ovviamente piegandolo totalmente al loro stile che è un garage rock scomposto, smontato e rimontato su una fitta trama di rumore che pur esibendo qualche caratteristica tipica del genere (vedi l’uso distintivo dell’organo, molto simile a quello de Le Muffe) in realtà cerca in tutti i modi di sfuggire ad ogni regola ferrea, in modo da non venirne imprigionati. Uno stile dunque evocato, più che ricalcato, affogato in una sorta di soffocante clima noir in cui anche le varie reminiscenze surf sembrano affiorare da un mare color piombo invece che dal solito oceano blu profondo. L’exotica virata color canna di fucile.    

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

JACK O’ FIRE – Forever (Sympathy for the Record Industry)

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La soul music secondo Tim Kerr e secondo Long Gone John, l’uomo della Sympathy for the Record Industry che gliel’ha commissionata. “Spalmate” prima su quattro separati singoletti, le cover della formazione vengono ora assemblate su un unico, lurido, disco affinché non abbiate tempo di pulirvi il culo fra l’uno e l’altro.

Quella del gruppo texano è musica che sa di ruggine. Ruggine rovente, col demone Walter Davies a soffiarci sopra il suo soffio mefistofelico. Il “trattamento” è analogo per tutti: da Booker T and The M.G.’s a Link Wray, dai Minutemen ai Fall-Outs, da Willie Dixon alle Mothers of Invention, dagli Headcoats a Sonny Boy Williams, dai Fall ad Hound Dog Taylor, tutti riportati a fattor comune cosicché non riuscirete a riconoscere gli uni dagli altri e a distinguere il vostro impianto hi-fi dal rottame di un fonografo a manovella. Jack-O’-Lantern sorride malefico dopo il suo ennesimo peccato.

Cacciato dal paradiso.   

Cacciato dall’Inferno.

Costretto a vagare nelle paludi per l’eternità.

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE DEVILS – Let the World Burn Down (Go Down)

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L’anno nuovo inizia sotto una buona stella: dieci nuovi brani da quegli zozzi dei napoletani Devils, ormai definitivamente “restituitici” dalla svizzera Voodoo Rhythm che li aveva tenuti a battesimo, manco fossero stati vittime una spoliazione napoleonica. Il suono del duo ha nel frattempo preso consistenza e mutato parte del suo budello squamoso spostandosi dal trash ‘n roll degli esordi verso un heavy-blues ultracompresso che paga il suo giusto tributo a band come Black Keys e QotSA e che nella sua foga pressa ed inghiotte qui pure la Big City Lights di Cleo Randle sotto un torchio di watt.  

Nessun segno di cedimento lungo la massicciata che recinta questo nuovo bacino inquinato.

E Dio non voglia si creasse una feritoia. Una crepa qualsiasi basterebbe a venire travolti come da un getto prorompente di acqua e zolfo.  

L’aria viziata permane anche nei pezzi che, fra la calca, cercano di aprirsi un varco verso un suono più marcatamente vintage come il rockabilly di Teddy Girl Boogie e la ballata soul di Til Life Do Us Part.

Nella terra dei fuochi, i Devils riaccendono le loro macchine, indicandoci la bocca dell’Inferno.      

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

FIREWORKS! – Set the World on Fire (Crypt)

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Deragliante rock ‘n’ roll dal Texas. Tre chitarre e una batteria registrate in presa diretta in due folli notti passate a Memphis in compagnia di Jeff Evans durante una trasferta dalla loro Dallas, che non è esattamente quella che ricordate aver visto sugli schermi dell’omonima soap-opera. Qui, di sapone, se ne vede veramente ma veramente poco: il suono dei Fireworks! mesce nel torbidissimo letame del trashabilly di serie B come 50 Megatons di Sonny Russell o Just So You Call Me di Mac Curtis, qui ridotta ad uno strofinaccio per il banco di un saloon.

Pezzi come When She Passes By, One Way Ticket, Set the World on Fire, Deep Dark Jungle o la cover di City of People che pare suonata con clave e catene ci dicono ancora di un rock and roll morboso che non ha smesso di sputare in faccia ai benpensanti.

                                                                                    Franco “Lys” Dimauro 

JIM JONES ALL STARS – Ain’t No Peril (Ako-Lite)

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Memphis, Nashville, Chattanooga, Jonesboro, Atlanta, Jackson, Folsom, New Orleans. Il Sud degli Stati Uniti, la grande provincia della musica americana, quella dove nasce quel sound bastardo che puzza di fogna è la nuova “location” dell’ennesimo progetto di Jim Jones, quello degli All Stars (ovvero, essenzialmente, la Revue con una possente sezione fiati e una voce “nera” nascosta sotto un caschetto biondo).  

Ain’t No Peril, questo il titolo, è come una mutanda sporca di Andre Williams, con la sua strisciata di merda funky. Lunga trentanove minuti.

Su quella lingua di deiezioni ci passano ballate da struscio e voodoo rock maledettamente groovy (I Want You, Troglodyte, Gimme the Grease), gospel da marciapiede, putridi R ‘n B che sono la testa dei Detroit Cobras sul corpo dei Rolling Stones (Devil’s Kiss, che è carne sulla carcassa di Got Love If You Want It), honky-tonk da trinciato forte, strumentali da vertigine exploitation facendo del debutto degli All Stars una delle migliori pietre d’inciampo su cui possiate sbattere l’alluce quest’anno.     

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE TROGGS – Trogglodynamite (Page One)

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Meno pruriginoso e scabroso del suo predecessore, Trogglodynamite ribadisce i concetti di From Nowhere e del beat ligneo dei Troggs, essenziale e privo di ogni romanticismo, ma conferma anche la band come un tipico gruppo da singolo, formato sul quale hanno scandito l’anno precedente con pezzi come With a Girl Like You, Any Way That You Want Me, Wild Thing, I Can’t Control Myself e I Can Only Give You Everything, l’ultimo dei quali pensato solo per il mercato messicano e quindi qui prontamente recuperato in apertura, col suo fuzz insistente a rendere ancora più primitivo l’esercizio tentato poco prima dai Them sul medesimo pezzo proto-punk. Il resto del disco non ha la medesima forza, anche se pezzi come I Want You to Come into My Life e You Can’t Beat It di Reg Presley pestano nel mortaio del beat primitivo tipico della formazione di Andover e Little Queenie e Mona siano degli ottimi ripassi della rivoluzione precedente, quella di Chuck Berry e di Diddley.

La dinamite non esplode.

Ma i Troggs restano animali pericolosi, per mamme e fanciulle.

                                                                               Franco “Lys” Dimauro