X-RAY SPEX – Germfree Adolescents (EMI)

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Cosa avevano gli X-Ray Spex che altri gruppi punk, non solo in Inghilterra, non avevano?

Semplice: Poly Styrene e un sassofono. Anzi, due sassofoni, perché se è vero che a soffiarci dentro per quasi tutto l’album di debutto venne chiamato Rudi Thomson, è vero altrettanto che era stata Lora Logic a “spruzzare” per prima le canzoni della band di Londra, prima di essere allontanata dal gruppo dalla stessa Poly Styrene terrorizzata dal fatto che gli occhi non fossero puntati tutti e sempre su di lei.

Se la “base” sonora era, complessivamente (ma non del tutto, basti pensare alla Germ Free Adolescence che la band porterà a spasso per la tivù inglese e che costringerà il pubblico punk a rivedere la sua posizione non solo sul sax ma addirittura sul synth-pop, addirittura nella sua declinazione più soft, NdLYS) associabile al classico punk-rock, sono proprio la voce stizzita della cantante anglo-somala e la presenza invadente dell’”odiato” sassofono a caratterizzare pezzi come Let’s Submerge, Identity, Art I Ficial, Warrior in Woolworths, I Can’t Do Anything, Genetic Engineering, The Day the World Turned Dayglo (diventati TUTTI degli inni del punk “traverso”).

A loro modo, gli X-Ray Spex attuano una rivoluzione nella rivoluzione, introducendo nuove smorfie a quelle ormai canonizzate del punk, caricandolo di una critica feroce e dadaista al consumismo e all’omologazione e rivendicando la necessaria affermazione del modello identitario su quello della conformità sociale.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

R. STEVIE MOORE – Delicate Tension (HP Music)

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Quasi cinquant’anni di carriera vissuti ai margini del business, nonostante una discografia che sfiora, raggiunge, forse supera i quattrocento titoli: R. Stevie Moore, a metà degli anni Settanta, è già tutto quello che saranno band come Pavement, Camper Van Beethoven, Guided by Voices, Ween anni dopo. Decine di band, in un uomo solo del Tennessee, un folk-singer innamorato dei Beatles, di Todd Rundgren e di Frank Zappa.

Delicate Tension se lo suona e se lo registra tutto da solo, però ascolti cose come You Are Too Far from Me oppure Don’t Let Me Go to the Dogs o ancora Delicate Tension o Funny Child e ti assale il dubbio che in realtà si tratti di una registrazione pirata degli XTC, magari in combutta con Brian Wilson e il suo alter-ego criminale Charles Manson. Rispetto al lavoro amanuense e artigianale di Daniel Johnston, quello di R. Stevie Moore è un’operazione che porta il lo-fi ad altissimi livelli di ingegno, strutturazione ed inventiva pop, oltre che di grandissima resa melodica (la traccia di apertura Cool Daddio è un esemplare caso di piegamento degli scheletri formali del power-pop alle filastrocche barrettiane, NdLYS).

Il diciannovesimo secolo è lasciato una scia di geni incompresi.

R. Stevie Moore è il più grande fra loro.    

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE BISHOPS – Live! (Chiswick) 

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Nel marzo del 1978 i Count Bishops diventano, semplicemente, Bishops. Lo annunciano pubblicamente l’ultimo giorno del mese, su un singolo con una cover di I Take What I Want sul lato A e un originale intitolato No Lies sull’altro.

L’ultima esibizione col vecchio nome, al Blast Furnace di Londra, era stata però registrata per un disco collettivo che la scuderia Chiswick ha in programma di pubblicare. Invece, non se ne fa nulla. L’etichetta decide però di pubblicare per intero il set dei (Count) Bishops, pubblicandolo col semplice titolo di Live! il 28 aprile del ’78, in due formati differenti per due pollici uno dall’altro.

Dentro resta imprigionata tutta l’energia pub-rock della band e, per l’ultima volta, la chitarra di Zenon De Fleur che morirà per un incidente automobilistico il 18 marzo dell’anno seguente su un tavolo operatorio portando per sempre con sé una parte dell’anima dei Bishops. Per questo Live! assume un valore ancora più grande, nel già grande merito della formazione inglese che per prima pisciò sui dischi dei Genesis. 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

 

RINO GAETANO – Nuntereggaepiù (It)  

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Che Rino Gaetano abbia avuto un “canale preferenziale”, diciamo così, che gli abbia permesso di conoscere in anteprima o in esclusiva gli attori degli scandali italiani attraverso un’affiliazione alla loggia massonica, come avanzato da qualche giornalista (che per lo stesso motivo avanza dubbi sulla sua morte dichiarandola per nulla accidentale, NdLYS) non è dato sapere. Ma al di là dell’audace e intrigante ipotesi, resta il fatto che la sfilza di nomi e allusioni di molti suoi testi ha un che di divinatorio seppur mascherato dietro una tracotanza popolare che si riannoda alla tradizione dei cantastorie e delle filastrocche infantili che ne fa un cantautore di denuncia senza in realtà alcun punto di contatto con quello che è considerato, alla fine degli anni Settanta, il “cantautorato impegnato”.

Rino Gaetano preferisce invece vestire i panni di un saltimbanco o di rinnovare la tradizione delle macchiette ormai desuete di Petrolini (massone anch’esso, se vogliamo stare al gioco fino in fondo, NdLYS) coltivando la curiosità tipica dei grandi artisti satirici che sono tali solo se affondano i denti nell’attualità. Un investimento che produce stavolta il succoso scioglilingua di Nuntereggaepiù, dove allinea uno dopo l’altro i “pupari” italiani: politici, industriali, personaggi televisivi, opinionisti, grandi firme della moda, sportivi e cantautori che manovrano in qualche modo le fila dell’opinione pubblica, lanciando qualche altro sasso nel lago degli scandali e degli insabbiamenti italiani citando, en passant, il caso Montesi. Ai palazzinari e i loro affari loschi in odor di santità è riservato il “girone” degli avidi di Fabbricando case mentre i politici che rivendicano il loro ruolo di protettori della razza operaia sono raccontati nel canto di Capofortuna. Ma, proseguendo nelle analogie dantesche, il ruolo di Rino Gaetano non è tanto quello del poeta toscano quanto quello di Virgilio, ovvero quello di guida apparentemente imparziale. Si limita a raccontare i fatti senza compiacersi per la pena inflitta. Un cronista delle sopraffazioni che cerca il riscatto nel vizio, nella fuga, nella contemplazione della bellezza non potendo arrampicarsi su quella scala sociale i cui pioli sono stati spezzati dagli scarponi di chi sta sempre in alto. Il disco mostra pure però un preoccupante calo di ispirazione musicale evidente in canzoni sfocate come Dans le chateau, Cerco e nelle compiacenti marcette di Stoccolma e Gianna, preludio al grande successo e alla perdita di verginità che farà di Rino Gaetano un artista pronto per essere azzannato da un pubblico pronto a guardare il dito mentre questo indicava la Luna.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

AA. VV. – Live Stiffs Live (Stiff)  

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Nell’estate del 1977 Dave Robinson e Andrew Jakeman, titolari del marchio Stiff, pensano di presentare al pubblico tutti i neo-acquisti della loro scuderia in un tour promozionale chiamato 5 Live Stiffs e che porterà in giro per l’Inghilterra per 24 date Ian Dury, Elvis Costello, Nick Lowe, Wreckless Eric e Larry Wallis con tanto di musicisti al seguito, non necessariamente quelli delle band che li accompagnano su disco. Ma del resto l’idea che Dave e Jake vogliono trasmettere della loro etichetta è quella di un’unica, grande famiglia, e quella è.

Lo show prevede due ore e mezzo di concerto, con un set di mezz’ora per ogni act, con conclusione affidata puntualmente a quello che è l’inno del tour: una versione corale di Sex and Drugs and Rock ‘n’ Roll di Ian Dury.

Un esperimento promozionale costato all’epoca qualcosa come 11000 Sterline, recuperati solo in parte.

Il souvenir discografico (ne esiste anche una versione video, già annunciata all’epoca sulla copertina ma in realtà resa pubblica solo nel 2014, NdLYS) dell’avvenimento è risicatissimo e purtroppo, malgrado gli scaffali siano affollati di ristampe deluxe, gran turismo e station wagon, nessuno si è preso la briga di allungare la striminzita scaletta di trentacinque minuti. Cosicché dopo quarant’anni Live Stiffs Live rimane quel che fu allora: un piccolo documento di un’attitudine, quello della Stiff, dove l’identificazione fra artista, pubblico ed etichetta era un requisito essenziale per l’affermazione della Stiff come etichetta più cool dell’Inghilterra, anche sotto il fuoco “nemico” del punk (il cui primo B-52 di era alzato proprio sotto l’egida della label londinese).

La musica è quella cui pensate ogni volta che il logo della Stiff passa sotto i vostri musi. Se non vi piace…it ain’t worth a fuck.   

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

 

SLAUGHTER AND THE DOGS – Do It Dog Style (Decca)

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Mick Ronson era l’eroe di Mick Rossi. L’uomo dalle forti braccia che lo aveva ispirato in tutto, anche nella scelta del nome della sua band. E alla fine, quando era giunto il momento di mettere mano ad un intero album sponsorizzato addirittura dalla Decca, Mick era riuscito a trascinare il suo eroe in studio per dargli qualche dritta durante le registrazioni e, quando le ditte non bastavano, ad imbracciare la sua chitarra per dare ai pezzi la giusta inclinazione.  

Autori di uno dei più grandi anthem punk dell’anno precedente (e, aggiungo, di tutta la storia del punk britannico, NdLYS), Slaughter and The Dogs sono in realtà già a corto di idee e Do It Dog Style vive in realtà di luce riflessa, come se lo specchio magico di Cranked Up Really High si fosse frantumato e la band adesso cercasse di mettere insieme i cocci in un grande mosaico di vetro riflettente. Il risultato non è un potenziamento di quella prima, folgorante esplosione di luce ma il rielaborato di una sua porzione di riverbero luminoso riprodotto una dozzina di volte. Il risultato tuttavia è più che dignitoso, con la sua carica hooligan vicina a quella dei Pistols e i suoi richiami al passato manifesti (Who Are the Mystery Girls, Quick Joey Small, I’m Waiting for the Man) o sottesi (il glam alla Spiders from Mars di Keep on Trying, la forza centripeta alla MC5 di You’re a Bore) e una nuova serie di maniacali e sguaiate smorfie come Boston Babies, Victims of the Vampire, I’m Mad, We Don’t Care.

Slaughter and The Dogs costruiscono il ponte fra il glam-rock e il punk. Poi, una volta passatici sopra, lo bruciano.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

ULTRAVOX – Systems of Romance (Island)

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Systems of Romance è il trionfo di Robin Simon, il chitarrista chiamato a sostituire Stevie Shears all’indomani di -ha!-ha!-ha! e protagonista di un suono straripante e affetto da una tendenza alla muscolarità e all’onanismo propria dei guitar-hero, nonostante rifugga le scale blues come la peste. È proprio Simon il primo a sdoganare la Gibson Les Paul nel mondo della new-wave, “strappandola” al mito dell’icona hard-rock e glam cui era stata relegata dal punk. L’incastro fra la chitarra tagliente del nuovo arrivato e gli ideogrammi delle tastiere conferisce una dinamica espressiva che fa leva sulla contaminazione tra il fragore rock esibito in pezzi come When You Walk Through Me, Someone Else’s Clothes, I Can’t Stay Long o Some of Them e le decadenti visioni del futuro che si intravedono dalle feritoie di pezzi come Dislocation e Slow Motion e che anni dopo useranno come canovaccio per le visioni post-nucleari di Lament. È in questa narrazione contrapposta e non sempre saldata (e non necessariamente saldabile, NdLYS) fra il “dove siamo stati” e il “dove stiamo andando” che si gioca la partita di Systems of Romance che, lungi dall’essere un album perfetto (Blue Light è di una sciatteria inarrivabile, per esempio, e la liturgia conclusiva di Just for a Moment sembra il palloncino di Animals dei Pink Floyd irrimediabilmente bucato) diventa, per diversissimi motivi, uno snodo fondamentale nella carriera degli Ultravox. Senza più punto esclamativo.

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

BUZZCOCKS – Love Bites (United Artists)

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Pete Shelley ne era certo, che dentro quelle miniere di carbone di Manchester, a furia di scavare, avrebbe trovato l’oro.

E difatti aveva trovato un filone aurifero proprio sotto i suoi piedi, giusto sotto le piastrelle della sua cucina. E lo voleva sfruttare al massimo. Dopo aver estratto il materiale per il disco di debutto dei Buzzcocks, nel giro di pochissimi mesi aveva quindi tirato fuori quello per Love Bites.

Medesima caratura, ovvero altissima.

Buona per farci i denti d’oro e rispondere ai morsi che l’amore per sua natura ci lascia sulla carne.

Ottima per costruirci qualche stiletto e colpirlo al cuore come si fa coi vampiri, prima che ci colpisca lui.

Ever Fallen in Love (with Someone You Shouldn’t’ve) è uno di questi. Affilatissimo pugnale lanciato da Cupido sul bersaglio sbagliato, un po’ come succede negli altri episodi del disco, da Nostalgia a Love Is Lies. Che sono pure canzoni bellissime, intrise di romanticismo adolescenziale e voglia di farsi spaccare il muso per sperimentare poi tutta la dolcezza e l’attenzione dell’accudimento. Bernoccoli doloranti, scogli funesti, scille e cariddi che separano il “mondo reale” della prima traccia da quello extrasensoriale della penultima che ci lascia nell’inutile attesa del treno perduto che scoppietta come candelotti di dinamite sull’ultimo binario di questo viaggio incredibile.       

L’amore morde. I Buzzcocks di più.

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

ELVIS COSTELLO & THE ATTRACTIONS – This Year’s Model (Radar)

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Il secondo disco di Costello suona più fresco e giovane del suo primo, sopravvalutato debutto dell’anno precedente, pur senza rimuovere del tutto quella patina di “oldies” che le canzoni del musicista britannico hanno mantenuto per tutta la sua carriera.

Rispetto al più compassato My Aim Is True, This Year’s Model risulta più brioso, con le sue aperture sfacciate verso il power-pop (i due minuti clamorosi di No Action, il refrain di Hand in Hand), il beat-rock degli anni Sessanta (You Belong to Me, poggiata sul riff di The Last Time degli Stones e spinta da un organetto alla Sir Douglas, il driving-beat frizzante tinto di soul di Pump It Up ma anche la magnifica corsa di Lipstick Vogue, capolavoro non riconosciuto del disco) e il rocksteady (il grande giro di basso di (I Don’t Want to Go to) Chelsea)) che lo rendono contagioso e a suo modo memorabile, pur collocandosi in una posizione sbilanciata rispetto all’attualità musicale di quegli anni e continuando a guardarsi indietro mentre corre in avanti.

Col rischio perenne e perennemente scongiurato di spaccarsi il muso.                  

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

TUFF DARTS! – Tuff Darts! (Sire)

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Ospiti fissi e stanziali del CBGB’s, i Tuff Darts! in realtà avevano poco a che spartire con l’irruenza iconoclasta del punk, anche quando a reggere il microfono era un giovanissimo Robert Gordon, diventato poi anche lui un “restauratore” forse ancora più risoluto con il suo progetto di recupero del rockabilly già avviato quando la sua ex-band è in procinto di realizzare il suo primo e unico album. Quello in cui invece si prodigavano i Tuff Darts!, praticamente quasi tutti emigranti italiani di seconda generazione, era invece un power-pop ben vestito e destinato, come quasi tutto il power-pop, all’insuccesso.

Chitarre temperate quel che basta per scrivere sulla pagina non più vergine del rock and roll un’altra manciata di canzoni sulle gioie e sui guai ordinari, infilando quel foglio in una bottiglia, sperando non affondi e che qualcuno le legga. Che non sono in tanti, effettivamente, tanto da costringere la band a dare forfait praticamente a pochi mesi dal lancio dell’album, lasciando inesplosi i “dardi” newyorkesi nonostante pezzi di culto come Rats e Fun City che ne illuminano la traiettoria e sprecando il featuring di Ian Hunter nel banalotto boogie-rock di Slash. E, nonostante la bottiglia abbia attraversato tutto l’oceano, chi la raccoglie getterà in mare quel che custodiva, ritenendolo superfluo.    

 

                                                                     Franco “Lys” Dimauro