THE ROUTES – Reverberation Addict (Topsy-Turvy)

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Dopo l’omaggio ai Kraftwerk i Routes ci riprovano e reinventando in chiave surf i “successi” dei Buzzcocks: Orgasm Addict, Fast Cars, Ever Fallen in Love, What Do I Get?, Love You More, Just Lust, Lipstick vengono “silenziate” e vestite con muta da surf. Essendo ormai a nostro agio con l’abilità di Chris Jack e dei suoi compari e avendo familiarizzato col loro stile non è difficile “immaginare” il disco prima ancora di averlo ascoltato ed è proprio questo il limite involontario di Reverberation Addict: la sensazione di consuetudine che affiora all’ascolto ne fa un disco in qualche modo banale, un’”operetta” surf che rischia di diventare una formula abusata con cui i Routes poco aggiungono al grande valore della loro musica, un orinatoio di Duchamp piazzato fra le onde, per vedere l’effetto che fa. Ma senza provocazione.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE ROUTES – The Twang · Machine (Topsy-Turvy)

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La copertina e il titolo di The Twang · Machine chiariscono in maniera lampante quale sia l’intenzione dietro il nuovo progetto dei Routes: applicare una delle più tipiche tecniche della musica strumentale degli anni ‘50 al suono computerizzato dei Kraftwerk adattando le sinfonie sintetiche del gruppo tedesco allo stile surf che la band anglo-nipponica non ha mai fatto mistero di amare quanto il più debosciato garage-punk.

Come si prestino al gioco pezzi come The Robots, Radioactivity, The Model, Autobahn, Trans-Europe Express o Computer Love è presto detto: magnificamente.

Le canzoni sono state totalmente ripensate, arrangiate con chili di riverbero e di tremolo, ri-sincronizzate a livello temporale fino a farle sembrare degli esercizi sci-fi come quelli degli Astronauts, dei Ventures, dei Chantays o dei Surfaris, conservando la linea melodica caratterizzante di ogni singolo pezzo ma ricucendola attorno a canovacci del tutto nuovo, come succede in particolare su Showroom Dummies, Neon Lights, Pocket Calculator e Trans-Europe Express ovvero i “travestimenti” (da pistoleri, da argonauti o da surfisti poco importa) più riusciti del lotto. I Routes si confermano ancora una volta come i migliori cosplayer di area neo-sixties in giro per il mondo, anche sotto le bombe.  

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

AA. VV. – All the Way with Spencer P. Jones – Volume 1 (Beast/Spooky)

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Un tributo al genio sregolato di Spencer P. Jones per il terzo anniversario della sua dipartita è quanto messo in opera dalla Beast Records in combutta con quella Spooky che dell’ex chitarrista dei Beasts of Bourbon pubblicò i suoi dischi migliori (fra cui Fait Accompli e Sobering Thoughts): un atto di amore nei confronti di uno dei migliori songwriters che mai abbiano poggiato il piede sulla sabbia e sull’asfalto australiano ben accolto da ventitré artisti che nel suo immenso catalogo trovano ossi da spolpare per il loro appetito rock and roll.

I più conosciuti del ricchissimo lotto sono Violent Femmes, Kid Congo, James McCann, Alejandro Escovedo, Chris Bailey, Jim Moginie, Drones e Chicos che “regalano” non solo il loro omaggio ma anche le ultime comparsate di Jones negli ultimi mesi di vita.  

Difficile fare ciambelle senza buco viste le ottime ricette dispensate da Jones in vita, e infatti All the Way è un (doppio) discone che risveglia e sazia ogni appetito.

Feroce, disperato, romantico, uggioso e tempestoso come nella Slamming on the Brakes reinterpretata dai Drones e che rappresenta forse il vertice di un lavoro che pur nell’alternarsi di atmosfere e di sensibilità che vanno dagli abissi della ballad torva alla furia punk, dal country da saloon all’elettricità sporca alla Neil Young riesce a mantenere una sua omogeneità e un robusto aroma di capolavoro da qualsiasi parte lo addentiate.

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE RIDICOLOUS TRIO – Plays The Stooges (Modern Harmonic)

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Tuba, trombone, batteria e un set di canzoni degli Stooges. Che poi è, insomma, quella somma di cose che vedete in copertina. Ed il risultato è meno “ridicolo” di quanto il terzetto che ne è artefice voglia lasciar credere.

Certo, per nulla essenziale, questo si. Ma diciamo che francamente con gli Stooges c’è chi ha fatto roba più inutile pur usando il classico schieramento da rock band, pensando magari di far chissà cosa. Qui, si tratta di un divertissement che però non ha per nulla lo spirito della parodia o della destrutturazione feroce alla Naked City, se è quello cui state pensando. La struttura delle canzoni del terzetto di Detroit rimane praticamente intatta, però piegata alle esigenze strumentali del trio, in una replica perfettamente sovrapponibile alle originali, con il trombone impegnato in una divertente imitazione dei rantoli e dello “sfiato” della balenottera Iggy che sembrava dovesse morire da un momento all’altro e che invece si trasformò nella creatura immor(t)ale più longeva di sempre.     

                       

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

AA. VV. – Misfit – A Tribute to The Outsiders (Screaming Apple)  

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A sdoganare gli olandesi Outsiders ci pensarono, al giro di boa degli anni Ottanta, soprattutto due band: i Tell-Tale Hearts di San Diego per primi e i bostoniani Lyres subito a ruota. Da allora è passato un decennio e gli Outsiders sono diventati un’icona del sixties-sound più infetto ed intransigente al pari di Sonics, Count Five o Missing Links. Ora è la tedesca Screaming Apple ad assemblare un intero tributo in loro onore chiamando a partecipare quattordici band alle prese con altrettanti classici dello scalmanato repertorio della formazione guidata da Wally Tax.

A cominciare dai Morlocks che infilano le zanne su You Mistreat Me, primissimo singolo degli Outsiders datato 1965 giù giù attraverso una selva oscura di fronde Diddleyane come quelle dei Quatloos (la nuova band di Walter O’Brien dei Chesterfield Kings) di Felt Like I Wanted to Cry, di R ‘n B maledetti da Dio come quello di That’s Your Problem (ad opera dei tedeschi Dukes, bravissimi) o di Won’t You Listen esplosiva nelle mani dei Lust-O-Rama oggi tanto quanto lo fu trenta anni fa tra le dita di Wally Tax e Ron Splinter, oppure un balsamo alle ortiche come la Filthy Rich con cui si ritrovano a farsi lo shampoo i Monomen sotto la pioggia di Seattle e sorbole velenose come Lying All the Time (rifatta dagli Ultra 5), You Remind Me (qui riproposta dai tedeschi Gretsch in quella che è la loro unica registrazione) o Daddy Died on Saturday (ad opera di quei Tell-Tale Hearts cui Wally Tax dovrebbe versare almeno un terzo del suo assegno di pensione).  

Discepoli prodigiosi per uno dei dischi-tributo essenziali per la discoteca di ogni maniaco del garage-sound più tribale.  

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

PUSSY GALORE – ‘Exile on Main St’ (Shove)

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Venerazione assoluta o demolizione definitiva? Le alternative potrebbero essere vere entrambe. E vere tutt’e due senza l’una escludere l’altra. Forse addirittura avvalorandosi a vicenda. Ne aggiungerei addirittura una terza: feticismo maniacale. Ché i Pussy Galore, cinque teenagers accalorati di Washington di cui tutti ignorano l’esistenza, decidono di (o sono costretti a) stampare questo debutto a lunga durata in formato cassetta. In 550 copie. Sapendo che, fatto fuori il giro del parentato, ne resteranno 500 nei magazzini della Shove, che poi è la loro stessa cantina.

La strumentazione consiste in quattro chitarre e una batteria, più svariate percussioni improvvisate. Il che vuol dire arredo e struttura della loro baracca, picchiate con quel che capita e quando capita in mezzo a quello che, più che un diluvio di chitarre sembra in pratica il rumore del disgorgante versato nel gabinetto del CBGB’s.

Avete presente il martello del centurione che in The Passion di Mel Gibson assicura Cristo alla croce non solo facendo penetrare nella carne viva i chiodi di ferro ma piegandone l’estremità affinché non siano scalzati via? Ecco, i Pussy Galore eseguono lo stesso lavoro su quello che era già il disco più brutale e rozzo dell’intera discografia degli Stones. Lo crocifiggono e ne assicurano il corpo martoriato al patibolo, con una ferocia irriverente, blasfema e pure ignorante. Ma non solo: i Pussy Galore si sostituiscono agli stessi Stones, oltraggiandone il cadavere e sbeffeggiandolo, ben consapevoli che tutti si accorgeranno dello scambio. Anzi, orgogliosi del loro atto sciagurato, come dei bulletti di provincia.

‘Exile on Main St’ è l’atto estremo di amore e quello altrettanto smisurato di odio che coincidono nello stesso punto, nel medesimo istante come dentro la canna della calibro 38 di David Chapman sei anni prima.

L’inizio della lunga avventura musicale di Jon Spencer inizia così.

Come quella di un comune teppista.

Uno cui non affidereste neppure il vostro criceto e che invece si mette in testa di suonare gli Stones con una chitarra a tre corde, senza saperne accordare neppure una.

Uno che ambisce ad essere odiato come uomo prima che lodato come artista.

Che si siede come un piccione su un marmo di Michelangelo e si abbandona ad una defecazione corrosiva e balorda.    

 

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

TY SEGALL – Segall Smeagol (autoproduzione)

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Il confinamento da COVID-19 comincia a dare qualche buon frutto.

Dunque non solo l’orrida canzone per Bergamo scritta da Facchinetti e D’Orazio ma un disco-tributo che Ty Segall pensava di realizzare da tempo e che adesso, in questa “pausa” forzata e nel conseguente “blocco” dell’industria del disco, trova non solo compiutezza ma pure ragion d’essere nella scelta del cantautore di renderlo disponibile in maniera completamente gratuita.

Si tratta del rifacimento parziale di Nilsson Schmilsson di Harry Nilsson (si, quello di Everybody’s Talkin’) che da molto frullava come le ali di un colibrì fra le sinapsi di Segall. Vi dico subito che non ho termini di confronto con l’originale in quanto non l’ho mai ascoltato ma al di là di questo (o forse proprio per questo) Segall Smeagol è un disco FANTASTICO.

Con l’unica eccezione della sola e peraltro bellissima e quasi Wyattiana The Moonbeam Song per sole voci, le restanti cinque tracce sono il trivio perfetto in cui si intersecano Marc Bolan, Beck e Jack White.

Vagonate di glam-music elettrica e stroboscopica e coolness a pacchi, fino a quell’orgia di Jump into the Fire che sembra innestare Doctor and The Medics con un inno hi-nrg per club LGBT e ti trascina per i capelli fino al centro della pista da ballo per poi lasciarti lì, fradicio e sanguinante a consumare degnamente gli ultimi sei minuti della tua vita.

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

 

BARRENCE WHITFIELD SOUL SAVAGE ARKESTRA – Songs from the Sun Ra Cosmos (Modern Harmonic)  

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Giusto il tempo di poggiare il pork pie e sostituirlo con un copricapo da Faraone ed ecco Mr. Whitfield tornare nelle vesti di Sun Ra, con un incredibile disco di funk dadaista. Pur diverse per provenienza temporale, le tracce di Songs from the Sun Ra Cosmos si integrano come i pezzi di un Tetris a comporre una scaletta fenomenale dove soul music, jazz, exotica, funk esplodono come migliaia di biglie colorate una volta pestate dal piede del gigante Barrence.

Un disco incredibilmente fisico, nonostante vada a pescare in mezzo ad un repertorio fra i più alieni della storia della musica contemporanea. Ecco dunque uno stomp alla New-Orleans come Muck Muck, il profluvio di chitarre distorte di Black Man, il muscoloso e sincopato ritmo di I’m Gonna Unmask the Batman, il P-funk di Everything Is Space e il jazz esotico e liquido di Love in Outer Space riempire quella porzione di spazio che ci è concessa e mostrarci dei Savages in forma smagliante a far dispetto alle rughe

Trovate un piatto su cui far atterrare questa astronave, terrestri!

 

                                                                                       Franco “Lys” Dimauro

AA. VV. – Tribute to Dead Moon (Chaputa!)

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Un tributo della Madonna per un gruppo della madonna.

I Dead Moon furono l’avventura musicale più lunga e duratura di Fred Cole, condivisa con la moglie Kathleen Conner per un buon ventennio. Una lunga storia di amore e di musica che produsse una decina di album memorabili di garage rock deviato. A quei dischi rende ora omaggio una pletora di band come Hellacopters, Sewergrooves, Monomen, Nomads, “Demons”, Sator, King Mastino, Brooms, La Secta, Dirty Coal Train con uno spolvero di chitarre che ne sarebbe bastata la metà. A parte un paio di episodi, Tribute to Dead Moon è un muro di chitarre che sembra franarci addosso mentre scorrono grandi canzoni-culto come Graveyard, Rescue, Ricochet, Out on a Wire, Dead Moon Night, War Is Blind, Psychodelic Nightmare.

Un autentico mare di elettricità fumante, una pira funeraria i cui fumi arriveranno di certo fin lassù, su quella luna su cui Fred è alla fine arrivato.

Peccato per gli stolti che continueranno a guardare il dito.

 

                                                                                   Franco “Lys” Dimauro

IAN CALFORD & THE BRAKEMEN – Strapped for Cash (Vampirella) / AA. VV. – Elvis Still Alive! # 2 (Vampirella)

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Abituatevi all’idea: di Johnny Cash saranno presto pieni gli scaffali di dischi, le sale cinematografiche, le librerie e pure qualcos’altro, proprio dentro le nostre mutande. Eccoci infatti alle prese con l’ennesimo disco tributo al padre del country noir stavolta da parte di Ian Calford, ragazzotto sedotto dal verbo Cashiano dal padre Alfie Calvert, musicista devoto alla più americana delle musiche americane, deceduto pochi anni fa, dopo essere stato per quasi cinquanta anni alla guida dei Brakemen.
Diciassette le canzoni ripescate nell’enorme repertorio del musicista dell’Arkansas, dieci recuperate dagli archivi Sun e le restanti di epoca Columbia.
Ian evita, scaltramente, di equipaggiare la rosa dei titoli coi toni spettrali e grevi con cui Cash era solito imbottire il proprio repertorio, donandoci così un omaggio appassionato ed onesto all’epopea americana e al suo libro dei ricordi 50% tristezza e 50% eroismo, comunque amaro eludendo però forzature e parodie, vibrante di dobro e chitarre Fender genuine come una buona bottiglia di bourbon.


Altra icona, magari meno dannata ma di gran lunga più mitizzata, ben oltre l’idolatria, è ovviamente quella di Elvis. Monumento eterno eretto a fregio di un’epoca e Dio supremo del rocchenroll.
Prevedibile quindi il risultato di un’operazione come Still Alive!, disco tributo a cui sono chiamati a partecipare personaggi dal talento infallibile ma con una forma di sudditanza artistica che degenera molto spesso in quel timore reverenziale che costringe a rileggere correggendo poco e imitando assai.
Canzoni rese dunque con classe impeccabile dalle nuove stelle del rock ‘n’ roll come Leroy Davis, i fratelli Di Maggio, Darrel Higham, Rick Hollow ma, dicevamo, il tutto pare cristallizarsi attorno ai resti fossili dell’uomo di Memphis.

L’ultima tentazione di Elvis poteva essere decisamente più perversa.

             Franco “Lys” Dimauro