RADIO BIRDMAN – Live at Paddington Town Hall Dec 12th ’77 (Citadel)

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Il prezzo è proibitivo, ma la ristampa necessaria: Live at Paddington Town Hall Dec 12th ’77 è l’ultima diapositiva scattata a Sydney dai Radio Birdman prima di imbarcarsi nel tour britannico per promuovere il loro album.

Uno sconcertante flusso di energia quello documentato da questo doppio album “catturato” dallo stesso Charles Fisher che ha prodotto il debutto della formazione e che suona incredibilmente bene, come se i Radio Birdman fossero qui davanti a noi, a demolirci casa. Stooges e 13th Floor Elevators mancano dalla scaletta, ma sono presenti in spirito più di quanto possiate immaginare, affiorando come Nessie dalle acque del suo lago, mostrando le squame.

Una scaletta colossale con tutti i pezzi già diventati stimmate del rock and roll più viscerale, crudo, potente, depravatamente libertario dai tempi di Raw Power: Man with Golden Helmet, What Gives?, Do the Pop, New Race, More Fun, Anglo Girl Desire, More Fun, Murder City Nights, I-94, Monday Morning Gluck, Non Stop Girls e tre cover suonate anche quelle col ferro rovente sulla carne.

Venite a leccare queste pustole infette, ORA.

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

MOTORCYCLE★BOY – Popsicle (Triple X)

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I Motorcycle★Boy furono una delle più sottovalutate band rock and roll che affollarono il lungomare californiano a cavallo fra gli anni ’80 e il nuovo decennio. Rapidamente assimilato alla filiazione di gruppi hair-metal e glam nati dopo il successo dei Guns N’ Roses, il quartetto di Los Angeles era invece animata da un sano spirito r ‘n’ r che trovava in Johnny Thunders il suo vate ma che esibiva pure fortissime influenze psychobilly, garage e punk.

Nessuna ostentazione, nessun irritante falsetto, nessuna posa da rockstar sfatta ma solo una grandissima affabulazione e un sincero amore per tutto ciò che è marcio, dagli Stooges ai Cramps fino al boogaloo rock dei Raunch Hands e dei Savages di Barrence Whitfield.

Sylvain Sylvain si occupa della produzione e lo fa in maniera eccellente, senza mai cedere alla tentazione di fare dei Motorcycle★Boy l’ennesima band di epigoni dei New York Dolls e rendendo giustizia alla bellissima voce di Francois Haroldson, uno dei migliori cantanti sulla piazza e non solo nella città degli angeli.

Non ci sarà dato ascoltare altro di questa band fenomenale cui d’altra parte non interessava farci ascoltare altro se non questo concentrato di rock and roll in cui pochi infilarono la cannuccia, preferendo dissetarsi con bibite gassate e piene di zuccheri. Chissà dove piace infilarla a voi.   

 

                                                                           Franco “Lys” Dimauro

ASTEROID B-612 – Readin’ Between the Lines (Full Toss)

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Ci sono le mani e le erezioni di Kent Steedman dei Celibate Rifles dietro il banco di regia per Readin’ Between the Lines, il disco con cui gli Asteroid B-612 salutano il nuovo secolo.

Album dalla struttura molto più elaborata rispetto ai precedenti, con qualche punto di contatto, per affinità ispirative e assonanze stilistiche, con Shakin’ Street dei Sick Rose e che punta sovente anche sui toni da ballata scura alla stregua dei Died Pretty (On Your Way Down, Still Waiting, I Won’t Be Behind You) o comunque un po’ “ammaccate” come la bella Let It Slide.

Un disco dove le fiamme sono ancora belle alte, a dispetto del fatto che sia l’ultimo regalatoci dalla band australiana che per tutti gli anni Novanta riuscì a tenere vivo l’aussie-sound ma non riuscì a sopravvivere al decennio successivo.    

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

AA. VV. – Sub Pop 100 (Sub Pop)

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A fare davvero la storia sarà, due anni dopo, Sub Pop 200, ma questo fu l’inizio di tutto. Talmente inizio che non ne trovate menzione neppure sul sito dell’etichetta, dove fra l’altro la nascita della label è attestata addirittura nel 1988.

Siamo qui invece nel 1986, a Seattle, e Bruce Pavitt è ancora un venticinquenne in fissa col “pop sotterraneo” che si muove come una tenia sotto la crosta dura dell’America. Con quel nome ha già messo in piedi una fanzine e ora, facendo tesoro del materiale che gli arriva un po’ da mezzo continente, vuole stampare qualche disco. Senza grosse pretese, generando suo malgrado l’ultimo grande fenomeno di costume del XX secolo. Una rivoluzione che in qualche modo è già in nuce in questa mezz’oretta di musica che vede allineata una dozzina di band che saranno fra gli ispiratori del primo grunge, Wipers, Scratch Acid, Sonic Youth, U-Men in primis. E poi un tot di mentori del “fastidio”, dagli Skinny Puppy ai Boy Dirt Car, dai Lupe Diaz ai Savage Republic fino agli sperimentalismi di Steve Fisk che da lì a breve diventerà uno dei produttori di fiducia dell’etichetta mettendo le mani sui primi singoli di Soundgarden, Walkabouts, Screaming Trees, Beat Happening, Helios Creed. Il mondo non è ancora pronto, ma Bruce Pavitt sta preparando la sua rivoluzione.

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

ASTEROID B-612 – Not Meant for This World! (Au-go-go.)

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Allontanandosi, senza mai perderla di vista, dalla strada tracciata da Radio Birdman e affini (Visitors e New Christs in primis) gli Asteroid B-612 di Not Meant for This World! deviano ora verso un punk più crudo ma anche più ortodosso (Emotional Tattoo, Not Meant for This World), ora colando in picchiata verso i Mudhoney (True Romance), ora in una sorta di versione esacerbata e hardcore degli MC5 (Farewell to the Cosmic Commander, You Always Got Something to Lose), ora in un omaggio tacito al garage-rock dei Nomads (Where Has All the Fun Gone?).

Scrollandosi di dosso l’etichetta di epigoni degli zii australiani i “mostri” di Sydney finiscono insomma per correre il rischio di perdere un po’ di fascino. Rischio evitato dal grandissimo carattere che continua a pervadere le loro canzoni (la marcia ballata di Thanks for Nuthin’ e i feroci assalti di Straight Back to You e Destination Blues, il virulento giro di Believe It’s True sopra tutte le altre) le cui radici affondano nel terriccio fertile del miglior r ‘n’ r australe generando una cornucopia di frutti avvelenati.  

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

ASTEROID B-612 – Forced into a Corner (Destroyer)

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L’uragano australiano.

Continuatori della gloriosa tradizione di Radio Birdman e New Christs, gli Asteroid B-612 perseguono con tenacia gli obiettivi già palesati col debutto con Forced into a Corner, ovvero tenere accesa la graticola su cui far colare il grasso succo del rock ‘n’ roll autoctono come fosse un enorme cilindro di kebab.

Anche quando la tirano un po’ per le lunghe (e qui succede in un paio di occasioni), giocando ossessivamente ed ipnoticamente attorno allo stesso riff, gli Asteroid B-612 sembrano mescere dentro un catino di magma rovente.

Il meglio arriva però quando il suono si arriccia e si intreccia in piccoli nerbi di rawk ‘n roll cuoioso come quelli di I’ve Had You, Plastic o Which Way pronti a scudisciarti la pelle fino a vederne affiorare il sangue. Costretti in un angolo, a subire e a godere dell’ennesimo gioco di ruoli del rock and roll.

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE CELIBATE RIFLES – A Mid-Stream of Consciousness (Oracle)

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Una provetta di urina è il campione che i Celibate Rifles portano a testimonianza della loro fede nel rock ‘n’ roll.

Chi volesse verificarne l’autenticità potrebbe analizzare quei cento millilitri di piscio che campeggiano sulla copertina di A Mid-Stream of Consciousness.  

Oppure, se non ha un laboratorio di analisi casalingo, mettere sul piatto l’ottavo album della band di Damien Lovelock, Kent Steedman e Dave Morris e annusare una ballatona sudicia come G’s Gone che finché ce ne sono avremo sempre un guanciale su cui poggiare la nostra testa dopo una serata andata storta, o un paio di numeri alla Iggy come I Shoulda e Tripping at the Mall oppure ancora farsi fischiare le orecchie dalle chitarre che straripano su Journey by Sledge e The Paddo Sharps o ancora bagnarsi le mutande quando tra la folla riconosce le sagome di Child of the Moon degli Stones e di I Will Dare dei Replacements che ci raccontano di quando eravamo bambini e poi di quando eravamo giovani e di come abbiamo condiviso emozioni prima ancora che i social ci illudessero di avercene dato l’opportunità per primi. Ce lo raccontano senza aver mai abdicato dal ruolo di signori del rock ‘n’ roll che ricoprono da quasi venti anni. Senza aver mai conquistato una classifica ma avendo guadagnato il rispetto che gli spetta per diritto acquisito e per abnegazione.   

 

                                                                                 Franco “Lys” Dimauro

CCCP FEDELI ALLA LINEA – Felicitazioni! (1984-2024) (Interno4 Edizioni) / CCCP FEDELI ALLA LINEA – Felicitazioni! (1984-2024) (Universal)

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Chi dovesse acquistarlo, a caro prezzo, pensandolo come un libro-confessione, resterà deluso nell’apprendere che Felicitazioni! non è altro che il catalogo dell’omonima mostra che celebra, alla soglia del loro quarantennale, la storia dei CCCP Fedeli alla Linea: foto, ritagli di giornali, reclame, copertine, costumi di scena e tutto l’arsenale di “propaganda” usato dalla band emiliana durante i suoi sei anni di produzione discografica, con un occhio particolare ai primi quattro, ovvero quelli in cui la componente visiva ed iconografica fu sfruttata come chiave d’accesso al loro mondo culturale che fondeva la storia padana con quella bolscevica, il Mediterraneo con il Mar Nero, il medio oriente con la Lapponia, astronauti e samurai, Togliatti con Majakovskij, la Fiat con le Trabant, falce, martello e salmi. Un azzardo, ma un azzardo riuscito, che è adesso il momento di festeggiare cercando da un lato di sanare dissidi lunghi un trentennio e dall’altra musealizzandone la storia.

L’omonimo cofanetto della Universal ne offre un compendio musicale, sfruttando l’occasione per vendere a prezzi da nababbi spillette, foto e cartoline a corredo di una selezione di diciotto brani che invece cercano una mediazione più equilibrata con la seconda fase del gruppo, dettata più dalle solite logiche commerciali che altro (e che, ci facevamo scappare il duetto con Amanda Lear, le pluridecorate Annarella e Amandoti, il corale cattolico di Madre?), con la band che si diverte addirittura, in uno scatto inedito, a vestire gli stessi cenci indossati all’epoca di Epica Etica Etnica Pathos.

I CCCP diventano merce da mettere nel carrello.

Il passato è afflosciato
Il presente è un mercato
Fatevi sotto bambini
Occhio agli spacciatori
Occhio agli zuccherini.

 

                                                                     Franco “Lys” Dimauro

MOVING TARGETS – Brave Noise (Taang!)

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L’avvicendamento di Chuck Freeman al posto di Pat Leonard conferisce ulteriore forza espressiva alle canzoni dei Moving Targets: le sue linee di basso sono fra le migliori nell’ambito dell’alternative punk degli anni Ottanta e ben si amalgamano con il suono tormentato ma avvincente della band e al suo estro viene affidata in toto il meno rumoroso fra i tre strumentali del disco, dove si diletta a suonare tutto ad eccezione della batteria. L’assenza che si sente è quella di Evan Barr, il sassofonista che col suo cameo aveva fatto di Shape of Somethings un capolavoro post-core sul debutto, che è tutto sommato quel che manca a Brave Noise, pur funzionando benissimo come album.

I Moving Targets riescono ancora una volta a fare di Boston l’alternativa più credibile (anzi, a questo punto, l’erede naturale) al sound di Minneapolis, costruendo una cortina di rumore elettrico percorsa da un afflato lirico di giovinezza già incrinata dall’età adulta cui si è appena affacciata. Come di una promessa infranta. Come l’ultima estate del liceo, un attimo prima di venire inghiottiti dalle onde. Come la prima volta che ti hanno mentito dicendo di aver forato le gomme ed invece si erano dimenticati di te.      

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro