OSEES – A Foul Form (Castle Face)

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Il bello (o il brutto) dei dischi degli Osees è che li compri e non sai cosa ti stai portando a casa. Autrice di una discografia ingombrante, la band californiana continua a cambiare pelle quasi ad ogni uscita. Stavolta tocca all’hardcore e allo scum punk a venir, diciamo così, “dissotterrato”. Senza che se ne sentisse davvero la necessità, a dire il vero. Però è successo che John Dwyer, che all’epoca dell’esplosione hardcore era ancora alle scuole elementari, ha riscoperto il genere durante l’isolamento da pandemia, assieme a tonnellate di thrash metal, di anarco-punk e in generale di tutte quelle musiche estreme del rock dei primi anni Ottanta, e così si è immaginato proiettato in quell’universo per una ventina di minuti, che sono quelli di A Foul Form.

Dieci canzoni veloci e scheletriche, con la chitarra collegata direttamente ad un monitor Tekton Tweeter Array apposta per “depotenziare” le frequenze medie e renderle simili al rumore di una friggitoria di Chinatown e creare dunque l’effetto monodimensionale tipico del genere. Unico pezzo a distogliere lo sguardo da quel mondo cruento, la Too Late for Suicide che nei suoi tre minuti e mezzo rivendica la sua natura di pezzo alieno e fuori contesto. Il resto è un insieme di sputi crassiani e di invettive che dalla politica tracimano nello splatter di cui onestamente non si sentiva grandissima nostalgia.     

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

ANTISEEN – Southern Hostility + Eat More Possum (Man’s Ruin)

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Sfogliate qualunque cazzo di storia del punk e degli Antiseen sentirete parlare poco. Qualche riga scritta di fretta, veloce come la loro musica. Perfetto, per un gruppo che ha sempre vissuto nella periferia, relegato ai margini e che, piuttosto che stare dentro la scena punk ha preferito o è stata costretto a sedercisi al bordo, lanciando ogni tanto uno sputo.
Autolesionisti ed estremi, laidi e cattivi, perdenti anche nella scelta dei compari (GG Allin tra questi, NdLYS). Scomodi dunque e musicalmente ignoranti, incastrati com’erano (e sono) su una ritmica che dire elementare è già eccessivo ed una chitarra che fende con la delicatezza di un flexy.
Gente che i dischi se li fabbricava in casa perchè nessuno avrebbe rischiato un cazzo di lira su canzoni come Kick in the Head o Old Man, Hit the Road e se li portava in giro ai concerti anzichè presidiare le anteprime alla Tower Records.
Ristampati ora su un unico supporto digitale in onore a quel punk spaccatimpani e fracassone amato da Franz Kozik e Jamie Wolf, i loro punk anthems dribblano la rimasterizzazione e restano quello che erano esattamente diciassette anni fa, sporchi, ultradistorti, caciaroni, stradaioli e superelettrici. Un vibratore a 380 volts che vi masturba le cavità, totalmente, orgogliosamente fuori norme CE.

Franco “Lys” Dimauro