Il bello (o il brutto) dei dischi degli Osees è che li compri e non sai cosa ti stai portando a casa. Autrice di una discografia ingombrante, la band californiana continua a cambiare pelle quasi ad ogni uscita. Stavolta tocca all’hardcore e allo scum punk a venir, diciamo così, “dissotterrato”. Senza che se ne sentisse davvero la necessità, a dire il vero. Però è successo che John Dwyer, che all’epoca dell’esplosione hardcore era ancora alle scuole elementari, ha riscoperto il genere durante l’isolamento da pandemia, assieme a tonnellate di thrash metal, di anarco-punk e in generale di tutte quelle musiche estreme del rock dei primi anni Ottanta, e così si è immaginato proiettato in quell’universo per una ventina di minuti, che sono quelli di A Foul Form.
Dieci canzoni veloci e scheletriche, con la chitarra collegata direttamente ad un monitor Tekton Tweeter Array apposta per “depotenziare” le frequenze medie e renderle simili al rumore di una friggitoria di Chinatown e creare dunque l’effetto monodimensionale tipico del genere. Unico pezzo a distogliere lo sguardo da quel mondo cruento, la Too Late for Suicide che nei suoi tre minuti e mezzo rivendica la sua natura di pezzo alieno e fuori contesto. Il resto è un insieme di sputi crassiani e di invettive che dalla politica tracimano nello splatter di cui onestamente non si sentiva grandissima nostalgia.
Franco “Lys” Dimauro