Se avessi scritto la recensione a questo disco a ridosso della sua uscita, sarei stato più clemente con i Nouvelle Vague.
Purtroppo per loro non è andata così.
E il gruppo francese paga pegno.
Per tutte le Carle Bruni che mi sono dovuto sorbire agli apericena negli ultimi dieci anni.
Per tutte le Mad World stuprate da Donnie Darko e da tutti gli altri eroi piccoli e grandi delle serie tv, per tutte le bossanova che hanno infestato il pianeta, per quella selva oscura di giovani rampanti col Ferrarino posteggiato in seconda fila davanti al proprio american bar preferito, per tutti quei dj che si portano dietro una chiavetta con duecentoottantotto files di musica di merda con cantanti che strusciano e ammiccano come femmine da bordello portoricano, per tutti quelli che non hanno ancora capito che lounge e lunch sono due cose diverse e nonostante questo banchettano giocando beatamente con le olive galleggianti, attenti a non sporcarsi la camicia stirata da una schiava bianca cui gorgheggiano amore come un sifone per acquaseltz.
E quindi, a malincuore, eccomi qui “anema e core” (diamogli tempo, la rifaranno) a dover odiare questo disco. Malgrado ci sia dentro una bella versione piovosa di In a Manner of Speaking che fa il nodo alle budella e che sia riuscito nel sortilegio di trasformare la corsa a perdifiato di Robert Smith tra la foresta in quella di Biancaneve fra i cespugli di bougainvillea.
Peccato. Ma a volte, anche quando le olive sono senza osso, ad andar di traverso può essere l’oliva medesima.
Franco “Lys” Dimauro