NOUVELLE VAGUE – Nouvelle Vague (Peacefrog)  

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Se avessi scritto la recensione a questo disco a ridosso della sua uscita, sarei stato più clemente con i Nouvelle Vague.

Purtroppo per loro non è andata così.

E il gruppo francese paga pegno.

Per tutte le Carle Bruni che mi sono dovuto sorbire agli apericena negli ultimi dieci anni.

Per tutte le Mad World stuprate da Donnie Darko e da tutti gli altri eroi piccoli e grandi delle serie tv, per tutte le bossanova che hanno infestato il pianeta, per quella selva oscura di giovani rampanti col Ferrarino posteggiato in seconda fila davanti al proprio american bar preferito, per tutti quei dj che si portano dietro una chiavetta con duecentoottantotto files di musica di merda con cantanti che strusciano e ammiccano come femmine da bordello portoricano, per tutti quelli che non hanno ancora capito che lounge e lunch sono due cose diverse e nonostante questo banchettano giocando beatamente con le olive galleggianti, attenti a non sporcarsi la camicia stirata da una schiava bianca cui gorgheggiano amore come un sifone per acquaseltz.

E quindi, a malincuore, eccomi qui “anema e core” (diamogli tempo, la rifaranno) a dover odiare questo disco. Malgrado ci sia dentro una bella versione piovosa di In a Manner of Speaking che fa il nodo alle budella e che sia riuscito nel sortilegio di trasformare la corsa a perdifiato di Robert Smith tra la foresta in quella di Biancaneve fra i cespugli di bougainvillea.

Peccato. Ma a volte, anche quando le olive sono senza osso, ad andar di traverso può essere l’oliva medesima.

           

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

 

JORGE BEN – Jorge Ben (Philips)

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Mi innamorai della musica di Jorge Ben che fuori non c’era il carnevale.

E anche ci fosse stato, non sarebbe stato di certo quello carico di colori, ritmi e sorrisi che attraversava come un fiume le strade di Rio.

Jorge veniva da lì. Era cresciuto ascoltando le musiche dei carri allegorici e delle orchestre di samba, i canti da chiesa e la bossanova di João Gilberto, che era il Sam Cooke della musica brasiliana.

I suoi primi dischi erano tutto questo. Anche il suo disco del 1969 era tutto questo, ma era anche molto di più. Perché nel frattempo la musica brasiliana ha deciso di fagocitare brandelli della musica pop e soul che sta attraversando, proprio come nel carnevale carioca, le strade del resto del mondo. Si chiama Tropicália e fonde l’ortodossia brasiliana, una forte componente di coscienza sociale e di orgoglio di razza e allo stesso tempo si dichiara pronta ad “inquinare” la propria cultura tradizionalista con influenze esterne. Tutti elementi che Jorge Ben, con la complicità del Trio Mocòto, riuscirà benissimo a far penetrare nella sua musica in una quadrilogia di dischi di cui questo omonimo rappresenta l’avvio. Chitarre battenti, fischietti, trombe festose, tucani che cagano sui piedi del Cristo Redentor, donne creole sulla cui pelle bruciano tutti i colori dell’arcobaleno e Jorge Ben che intona un’Ave Maria per ogni alba che arriva ad illuminare Rio de Janeiro. Abbagliante.  

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro