SONNY VINCENT AND ROCKET FROM THE CRYPT – Vintage Piss (Swami)

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Registrate nel 2003 e poi girate in pochissime copie nel 2009, le famose session di Sonny Vincent assieme ai mostri di San Diego vengono finalmente pubblicate in maniera dignitosa dalla Swami di John Reis. Vintage Piss è il titolo adeguatissimo scelto per questo catino di piscio punk che, se siete affezionati alle bottiglie d’acqua con le Dolomiti in bella mostra e il residuo fisso a 22mg/l, vi faranno venire il voltastomaco.

Sonny è uno che non ha mai perso un’oncia della sua rabbia e i Rocket from the Crypt, ormai prossimi allo scioglimento non fanno rimpiangere i loro dischi migliori del decennio precedente disegnando delle meraviglie come Through My Head, Her Hand, Sharp Knife, Daily Procedure e una Unlock da fare invidia ai Radio Birdman, come era già stato per la I’m Allowed degli Shotgun Rationale.

Robaccia mal drenata dall’apparato renale che adesso sta proprio sotto il vostro nasino all’insù.    

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE DYNA JETS – She’s Magnetic (Groovie)  

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Pensando che la loro musica fosse fin troppo elaborata per dei primitivi, i Future Primitives si mutilano un arto e tornano come duo sotto il nome di Dyna Jets: chitarra e batteria si rincorrono in sette brani di rockabilly essenziale, mugugnando come Lux Interior o vibrando come il cono dell’ampli di Link Wray. She’s Magnetic esce in Europa quasi in contemporanea con il loro 7” di debutto pubblicato solo in Brasile anche se loro non appartengono ne’ a questo ne’ a quel mondo ma alle terre sudafricane.

Al solito sconquassato poker di assi i Dyna Jets aggiungono stavolta anche un paio di cover fulminanti torturando anche la bellissima Oooh-EE già cavallo di battaglia di quegli zozzoni dei Panther Burns e qui risolta in una versione più crampsiana degli stessi Cramps che da sola vale l’intero disco, qualora ancora stiate ancora tentennando se comprare questo o aspettare che il mondo si rovesci sputando dal culo una raccolta di inediti dei Cramps che non uscirà mai.             

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

THE GENTLEMEN’S AGREEMENTS – “Understanding!” (Soundflat)  

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Calzature e musica di gran classe in questo debutto dei francesi Gentlemen’s Agreements, sorta di super-band allestita da svariati componenti di band come Hawaii Men, Sheetah et Les Weissmuller, Towerbrown e Penelope (dei quali risuonano, alla grandissima la loro Eden Rose proprio come “sigla” conclusiva di questo “Understanding!”) che suona un ballabilissimo Hammond-beat che potete immaginare come una via di mezzo fra i Prisoners e il Link Quartet prima maniera.

Bellissime le versioni di Calamity Jane con tanto di fiati e spari sintetici e quella sporcata di fuzz di I Take What I Want, esplosive la cover di Swim di Jack Hammer e della perla freakbeat degli Adams Recital No Place for the Lonely People, divertente come lo era già in origine la Buzz Saw dei Turtles/Fabulous Dawgs.

Insomma, roba per temperare come si deve le punte degli stivaletti e darsi alla pazza gioia.

 

                                                                                   Franco “Lys” Dimauro

THE KING KHAN & BBQ SHOW – Bad News Boys (In the Red)

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Stavolta c’hanno messo più del solito, King Khan e Mark Sultan, a far confluire i loro impegni e mettere su un nuovo disco. Ben sei anni separano infatti Bad News Boys dal precedente Invisible Girl. Nel frattempo anche King Khan, seguendo l’esempio dell’amico fraterno, ha messo in piedi un’etichetta personale anche se per la vecchia sigla comune hanno scelto ancora una volta le garanzie della In the Red.

Di veramente nuovo ci sono i costumi di scena disegnati dalla moglie di Khan, due tute nere come la notte forate sui capezzoli e due mascheroni a coprire metà del viso con cui i due hanno dato il via al Nipples ‘n Bits tour e posato per le foto promozionali di rito. Per il resto, le canzoni scollacciate del duo non conoscono margini di miglioramento, e se per qualcuno questo può voler dire una “cattiva notizia” per altri, me compreso, non lo è. Nonostante continui a preferire le canzoni meglio rifinite degli Shrines, lo spettacolo che i due riescono ad allestire grattugiando solo due chitarre ha del prodigioso, riuscendo ancora una volta a riempire il foglio di schizzi rock ‘n’ roll, doo-wop e frat-rock (e anche qualche numero di punk schizoide come Zen Machines e D.F.O.) senza stare attenti ai margini. Anzi, imbrattando più quelli che le rigorose e composte righe a centro pagina. Avercene, di ultimi della classe così.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

ST. PHILLIP‘S ESCALATOR – Elevation (Teen Sound)      

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Solo sei canzoni, stavolta.

Ma la fame dopo quasi dieci anni di astinenza da quell’abbagliante album che fu Endless Trip… era talmente tanta, che ce le facciamo bastare. Rispetto al disco di debutto questo nuovo lavoro punta più all’heavy blues e alla passione per Ted Nugent della quale la band di Rochester non ha mai fatto mistero anche se la Sick on You d’apertura inneggia ancora una volta a quel garage lordato di asfalto e piscio raffermo che fu dei Chesterfield Kings dei tardi anni Ottanta ed è ancora una volta un gran bel sentire. Ma già la successiva South 4th Street Blues ci riannoda gli intestini attorno al budello dei Blue Cheer le cui sagome riappaiono più torbide che mai su Rebel City, stavolta sovrapposte a quelle degli Stooges, riportando alla mente quell’altra band misconosciuta che furono i Black Moses. Altrettanto belle le restanti tracce, con i lampi hendrixiani di Overload e quel magnifico muffin psichedelico di Elevation che sembra raccordare gli Stones del ’67 e gli Elevators più folk mentre Drone pare voler replicare la stessa magia mescolando Chocolate Watch Band e Velvet Underground, riuscendoci solo parzialmente e atterrando proprio quando sembra sollevarsi in volo.

Se è solo un assaggio di qualcosa che i (t)Re di Rochester tengono ancora in forno, non vedo l’ora di scottarmi le dita.        

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

THE WHAT…FOR! – Compiled! (Screaming Apple)  

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Un solitario album realizzato alla fine degli anni Ottanta e poi un oblio appena smorzato da un paio di singoli. Così si consegnano alla storia i What…For!, crucchi col pallino per il garage e l’R&B di marca soprattutto europea. Arriva dunque come una inaspettata e graditissima sorpresa questo dischetto in formato dieci pollici che gira a 45 giri e che pesca dal materiale disseminato su dischi-tributo e compilation lungo un decennio. Bottino magrissimo ché tutto il materiale della band, mai pubblicato su cd e mai ristampato, meriterebbe un recupero definitivo e plateale. Però, se quando la band era in piena attività (anche se di fatto non si è mai sciolta) eravate ancora dei poppanti e quando band come i Phantom Brothers e gli Outsiders incidevano canzoni come Chicago e If You Don’t Treat Me Right i vostri genitori erano troppo impegnati a pomiciare sui dischi del juke-box di quartiere, Compiled! va comprata senza neppure pensarci più di una volta. Armoniche a bocca e maracas a profusione, primitivismo diffuso e stile da riempire un atelier di Prada, se Prada avesse uno stile.   

Come salire sul Trenino Thomas vestiti da Tarzan e divertirsi a farlo deragliare dalle rotaie per farlo camminare in mezzo alla giungla.

                                                                                   Franco “Lys” Dimauro

TABLE SCRAPS – More Time for Strangers (Zen Ten)  

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La Zen Ten è una nuova etichetta inglese, inaugurata il primo novembre del 2017 e che sta passando al setaccio la Gran Bretagna in cerca di nuove band. Il roster attuale comprende formazioni come Galants, MVPS, Isabelles, Locks, Black Tambourines, Moriaty e i Table Scraps di Birmingham dei quali pubblicano il nuovo album certificando al contempo la pubblicazione nazionale del loro debutto del 2015, prontamente ristampato.

Realizzato ancora con la formazione a due (l’aggiunta del bassista è roba dello scorso anno), More Time for Strangers suona come se un sedicenne Jason Pierce provasse a suonare Raw Power degli Stooges assieme ad un amico batterista nella cantina dei nonni. Canzoni come Electricity, Bug, Sinking Ship, Motorcycle (Straight to Hell) hanno quello stesso tiro marcio ed infetto della chitarra di James Williamson. Annegata in una distorsione maniacale di chiara matrice inglese e in un senso di totale perdizione ed abbandono giovanile.

Quando il passo di fa meno opprimente, come in (I’m Not) Interested in You, Foot of Our Stairs o Vampyres Bite, ecco affacciarsi le chiappe nude da gita del quinto delle garage band di etichette come In the Red o Voodoo Rhythm. Se solo non fosse improbabile che band come se Deadly Snakes o Destination Lonely siano mai andate a scuola.       

 

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

SPIDERGAWD – II (Crispin Glover)  

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Il secondo lavoro dei norvegesi, preparato e sfornato a pochissima distanza dal debutto, assottiglia i margini tra la promessa di passare una mano di lucido al vecchio e glorioso hard-rock e la tentazione di ergersi a nuovo modello nordico del rock da stadio deludendo in parte le aspettative accese con il loro primo album.

È una tentazione cui il quartetto di Trondheim cede volentieri e spesso lungo queste nove tracce di power-rock che potrebbero facilmente conquistare i fan di Queens of the Stone Age (Tourniquet) e Foo Fighters (Our Time, Made from Sin) così come i nostalgici dello stoner come lo forgiarono Kyuss e Monster Magnet (Crossroads, con tanto di assolo di chiara ascendenza Seventies e chitarra “abbassata” come nella migliore tradizione sabbathiana). Unica parentesi a tirarsi fuori da questi clichè è la centrale Caerulean Caribou dove l’ascia di guerra viene sotterrata e il sassofonista Rolf Martin Snustad può accendere il suo calumet della pace sottoforma di sassofono, finendo per vestire di un vago sapore Morphine (come del resto succede pure sulla successiva Get Physical) quella che alla fine è diventata una pièce strumentale ridotta però a pochi minuti, trasfomando sprovvedutamente quello che avrebbe potuto essere (come era stato per Empty Rooms sul disco precedente) l’evento-sorpresa del disco in una semplice ed effimera pausa pubblicitaria.

Sono certo che gli Spidergawd hanno le carte in regola per alzare il tiro. Speriamo non si limitino a puntare i loro fucili in un banale poligono e tornino a seminare il terrore per le strade.

  

                                                                           Franco “Lys” Dimauro

ALESSANDRONI – (Industrial by Alessandroni) (Dead-Cert Home Entertainment)  

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Che a rendere omaggio e meriti alla storia di Alessandro Alessandroni debbano pensarci gli stranieri la dice lunga su quanto siano miopi discografici e pubblico del nostro paese a forma di camperos. Colui che in patria è conosciuto per essere nient’altro che il “fischio” dei western di Sergio Leone (e ti pare poco) è stato in realtà uno dei più pregiati avanguardisti sonori della nostra storia. Il suo lavoro di ricerca sulle “musiche possibili” in campo elettronico sono ancora oggi un patrimonio di cui dovremmo andare orgogliosi. Un grandissimo artigiano della sonorizzazione e dell’effettistica il cui enorme patrimonio in larga parte affidato ai cataloghi di library-music (gli “archivi” musicali di cui le case di produzione cinematografica e televisiva si dotarono per musicare i loro documentari) è ancora in fase di inventariazione. (Industrial by Alessandroni) racimola ad esempio quindici fulgidi esempi di musiche ispirate al mondo delle fabbriche, ai rumori delle macchine, ai ronzii dei trasformatori, ai ritmi parossistici delle catene di montaggio e alla nevrosi della civiltà del dopo-boom che ancora oggi ci rende schiavi, anche davanti al muto ma chiassoso schermo di uno smartphone.

Polaroid sonore del nostro tempo. Arte viva.

 

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

FRANCESCO SCROFANI CANCELLIERI – Musica Ridens (Zecchini Editore)  

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Il viaggio stavolta è all’interno della musica classica. Ed è uno sguardo inedito che svela l’irriverenza annidata spesso sotto le apparenze austere ed eleganti delle composizioni dei più grandi, intoccabili, maestri della musica colta dal sedicesimo secolo fino a ieri l’altro. Musica Ridens, come lascia intuire il grazioso titolo, sviscera con dovizia di riferimenti e di aneddoti il gusto per lo sberleffo, le citazioni spesso irriguardose e insolenti, le provocazioni di cui, strano a dirsi, abbonda la musica di estrazione classica.

Una ricerca che può apparire scoraggiante per un novizio e che invece l’autore risolve con grande padronanza, dimostrando come per trovare qualcosa occorre conoscere dove cercarla. E, per trasmetterne i risultati in maniera coinvolgente, bisogna avere una dialettica accesa e coinvolgente.

Sono le doti di cui Scrofani Cancellieri si dimostra ottimo timoniere in un testo che, sviscerando opportuni contesti storici, illuminanti precisazioni sulle diverse forme musicali (la parodia, la burlesca, il capriccio, la farsa e così via umoreggiando) e squisiti cenni biografici dei vari Bach, Satie, Schubert, Ravel, Mozart, Prokof’ev, Rossini, Cage a vario titoli citati lungo il libro, ne tratta in maniera altrettanto ironica e con un linguaggio cordiale  eppure raffinato (con un efficace e sapiente uso degli avverbi, altrove così miseramente bistrattati, NdLYS).

Musica Ridens umanizza quella che per molti è considerata arte composta da semidei. Ne mostra i vizi, oltre che le virtù di cui spesso abbiamo timore e che ce la rendono così estranea. Ce ne rivela gli aspetti imbarazzanti e ce la rende simpatica, come quando una star di Hollywood scende dal podio e ci concede un sorriso buffo e spontaneo.    

 

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro  

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