Nonostante abbia inciso un solo album, nonostante venga spesso trascurato nei bignami enciclopedici e superficiali sul rock, nonostante sia considerato come una copia dei Blue Moon Boys di Presley e nonostante abbia aspettato per più di trentacinque anni di essere inserito, come meriterebbe, nella Rock & Roll Hall of Fame mentre i suoi componenti morivano uno ad uno, il lascito del Johnny Burnette Trio nella storia del rock ‘n’ roll è di un valore enorme. Il suo assetto chitarra elettrica/chitarra acustica/contrabbasso (più un essenziale drum-kit in aggiunta) avrebbe creato il modello definitivo di tutte le rockabilly-band che sarebbero venute dopo. Con esso nasce, per caso del tutto fortuito, quella distorsione “lacerante” che sarebbe poi stata replicata (con tecniche artigianali diverse e quindi commercializzata con la nascita, ad opera della Gibson, della pedaliera fuzz) da tantissimi altri “pionieri” (Link Wray, Kinks, Rolling Stones, Missing Links, Duane Eddy, Ventures, Yardbirds, ecc.). Su canzoni come Honey Hush e The Train Kept a-Rollin’ al canto singhiozzante e al basso sincopato che sarà l’archetipo di tutto il rockabilly si affianca difatti un ronzio invasivo e crepitante che farà scuola, non solo in ambito “puramente” rock ‘n’ roll. Quell’unico e omonimo album di cui parlavo all’inizio viene registrato in soli cinque giorni tra New York e Memphis ed è la quintessenza del rock ‘n’ roll “corazzato” che tornerà con prepotenza, venti anni più tardi, a perpetrare il sogno dell’American Graffiti in tutto il mondo.
Johnny ne avrebbe sentito l’eco dall’oltretomba.
Suo fratello Dorsey gliene avrebbe parlato passeggiando fra i Campi Elisi nel 1979.
Paul Burlison li avrebbe raggiunti nel settembre del 2003, per rifondare il Trio dove gli occhi e le gambe non conoscono il peso della stanchezza.
Franco “Lys” Dimauro