Dopo aver lasciato la propria impronta nel garage rock degli anni Novanta, ecco il primo disco di The Artist Formerly Known as Jack White, l’album con cui il musicista di Detroit si scrolla di dosso se stesso. Un disco controverso, androgino, ambiguo e che afferma la propria identità nello stesso istante in cui la annienta, esattamente come era successo con Prince. Boarding House Reach è lavoro che chiede coraggio a chi lo ascolta, con le sue volute funk, i suoi cori gospel e i suoi riff frantumati costretti a riassemblarsi come dentro un disco dei Funkadelic. Il risultato finale, oltre che a quello del folletto di Minneapolis, ha molto a che fare con gli esperimenti di cut-up di Beck, al cui pubblico canzoni come Corporation, Hypermisophoniac o Ice Station Zebra piaceranno certo più di quanto possa piacere ai vecchi fan di White. Che qui dentro ci sia del genio ce lo dice il passato di Jack White, ce lo dicono le sue capacità, ce lo dice il rispetto reverenziale che il suo passaggio sui canali musicali suscita anche al di là delle critiche. Non ce lo dice il disco, che è ancora una massa opaca di idee che cozzano tra George Clinton e Aloe Blacc e che non sempre riesce ad espellere i calcoli che hanno sedimentato nella colecisti di White negli ultimi due o tre anni.
Franco “Lys” Dimauro