KNOXVILLE GIRLS – Knoxville Girls (In the Red)

0

Jerry Teel fu fondatore degli Honeymoon Killers e comprimario d’eccellenza dei Chrome Cranks, una di quelle pedine essenziali nella tassonomia del post-blues americano che raramente ci si ricorda di celebrare.

Seppellite quelle avventure, torna ora al suo primo amore per la chitarra e per il rockabilly con questo suo progetto che lo vede strapazzare il rockabilly, Dylan, Ray Charles, il blues e il garage rock assieme a Bob Bert dei Sonic Youth, Kid Congo Powers, Jack Martin dei Little Porkchop e Barry London degli Oneida.

Un lavoro sporchissimo ma di grandissima fattura, con tre chitarre micidiali, qualche intervento di armonica e tromboni, Farfisa a scrollarsi l’uccello su spartiti giallastri e stropicciati di roots-rock.

Se chiudi gli occhi, ogni tanto puoi sentire i coyote passare.   

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro

CESARE BASILE – Saracena (Viceversa)

0

La musica e la voce di Cesare Basile sono arse come questa terra su cui non piove più. Una terra dove il vento soffia come fosse una lama di rasoio e i tronchi d’albero diventano armature, cortecce contorte come budella di legno che ardono al sole e che urlano di dolore come pinocchi mai diventati bambino. Giganti ultracentenari, Matusalemme verdeggianti che possono raccontarti storie formidabili, se riesci a farli parlare. E Cesare riesce a farli parlare. Prende i loro arti e dona loro la parola. Poi, si fa albero anche lui. E sembra invocare la pioggia. E piove.

Saracena è il più viscerale fra i dischi realizzati dal musicista catanese.

Ombra che non rinfresca, acqua che non ristora. La Sicilia come ventre che accoglie ma anche come ventre stuprato. La Sicilia che guarda i santi passare, sfilare sotto le sue case diroccate, dentro i suoi intestini che sono labirintiche vuccirie gentrificate alla bell’e meglio e poi rinchiudersi in chiesa. La Sicilia che l’hanno comandata tutti e non l’ha ammaestrata nessuno. La Sicilia cui hanno tagliato il cordone ombelicale dal resto d’Italia e cui adesso hanno promesso di farne uno in cemento.

Saracena apre il suo sipario su una casa diroccata di Noto, il paese dei caminanti che hanno dato il nome al gruppo che ha accompagnato Basile negli ultimi anni. Stavolta però, Cesare è in uscita solitaria, come un pastore cui è scappato il gregge. Con lui, i suoi mille strumenti dai nomi improbabili che sanno di ruggine prima ancora di essersi ossidati, a volte immersi in una ghirlanda di campi elettromagnetici come quelli già sperimentati in Pulicane Tape (Ciuri i cutugnu, U iornu ro Signuri, Prisenti Assenti), a volte in semplice risonanza/assonanza con gli elementi naturali, come la corona di spine di Cristo falciata dal vento sul Golgota.

Saracena è un disco di spettrale musica desertica e di stoppa ferrosa.

Cesare Basile si ferma al centro della piazza, tira fuori la sua panchetta da sciuscià e invece di lustrare le scarpe ai padroni, cura le ferite sui piedi scalzi dei passanti.    

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro