THE PRISONERS – Morning Star (Own-Up)

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La line-up è quella di sempre: Allan Crockford, James Taylor, Graham Day, Johnny Symons e l’etichetta, quella storica della band: la Own-Up. Tanto basterebbe per fare del ritorno dei Prisoners uno degli eventi del 2024.

A smorzare un po’ gli entusiasmi è però arrivato un singolo come Going Back che è, praticamente, una sputata rilettura dei Who di Who’s Next, Won’t Get Fooled Again in particolare che però resta fra gli intoccabili della storia, e non andava toccata. Anche se, va detto, loro sarebbero fra i pochi legittimati a farlo.  

Un episodio che tuttavia resta più o meno isolato all’interno di un disco che si muove nel più classico stile Prisoners riattivando l’effetto nostalgia che operazioni simili prevedono. In virtù di quello, Morning Star godrà del plauso che merita, toccando un po’ tutte le “essenze” che la band inglese ha sprigionato durante gli anni d’oro, dal northern soul all’Hammond-beat, dal garage rock alle tinte da spy-movies e a quelle memori delle eruzioni di Deep Purple e Hendrix.

La novità è una maggiore, forse anche eccessiva attenzione alla cura delle parti vocali, con i cori protagonisti a scena aperta in molti episodi (If I Had Been Drinking, My Wife, This Road Is Too Long, Break This Chain) e la voce solista (notevolmente ammansita rispetto al passato, sebbene sia ora maggiormente in grado di manovrare un’espressività e una modulazione calda e soul-oriented) in prepotente primo piano rispetto agli strumenti. I Prisoners restano dunque inattaccabili, dalle critiche quanto dall’ossido.

L’uragano però, quello vero, è retrocesso a tempesta.   

 

                                                                               Franco “Lys” Dimauro