Per forza di cose, inevitabilmente ed inaspettatamente, l’ultimo treno degli Shellac.
L’ultimo viaggio. E anche uno dei migliori.
Se Excellent Italian Greyhound e Dude Incredible, fatte salve le considerazioni fallacemente traviate dalla stima che Steve Albini ha sempre avuto nei confronti di pubblico e critica, erano stati episodi che reggevano male il confronto con i tre dischi fondamentali della loro discografia, To All Trains è un ritorno in grandissimo spolvero.
Immaginate, se non avete mai avuto a che fare col terzetto di Chicago, i Wire (forse l’unico grande amore musicale di Albini) ma moltiplicati per dieci.
Dieci sono pure i pezzi preparati (immagino in una settimana o due, che quelli sono sempre stati i “tempi” preferiti da Albini come musicista e come produttore) per questo che verrà ricordato probabilmente, e a ragione, fra i dischi fondamentali del nuovo millennio quando si tratterà di stilare la solita effimera classifica e si vorrà certificare l’ennesimo “io c’ero”.
Be’, io c’ero, quando Steve Albini definì per la prima volta i concetti che questo sesto album continua ad inchiodare come rivetti sulla croce, creando nuovi capolavori come How I Wrote How I Wrote Elastic Man (Cock & Bull), Chick New Wave, Tattoos, Scabby the Rat, WSOD.
I Don’t Fear Hell dichiara Albini alla fine del disco.
E il Diavolo non voglia tu ne abbia, SuperSteve.
“If there’s a heaven,
I hope they’re having fun,
‘cos if there’s a hell
I’m gonna know everyone”.
S.F.A.
Franco “Lys” Dimauro
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