EUROBOYS – 1999 Man (Man’s Ruin)

Gran nome di merda Euroboys, ne convengo.

Roba che se lo dite all’amico del cuore penserà che vi siete messi in casa la compilation con le musiche delle veline. Che poi non sono manco male. Le veline, intendo.

Eppure l’ego smisurato di mr. Euroboy, già variopinto chitarrista dei Turbonegro, deve aver deciso per tutti.

Giusto un plurale che allunghi un po’ le travi del tetto per ripararsi tutti, niente di più.

Peccato, visto che dentro l’apparente anonimato della sigla gli Euroboys tirano in tavola alcuni dei più bastardi assipigliatutto del pop di questi ultimi mesi. Hanno classe da vendere, questi scandinavi del cazzo.

Hanno la capacità di risolvere con abilità melodica e timbrica anche la pià scontata delle canzoni. Ascoltate il ponte che traghetta Part Animal dal terzo al quarto minuto, per farvene un’idea.

Ammicca, ma con gusto eccelso.

La title track sprigiona energia, figlia del power rock più bambino e banale che ci sia. Riffone da potenziometri a fondo scala, politicamente col-retto.

A seguire Ballad of Kirk and the Jerks, liquida sequenza per celluloidi, scivola languida lasciando una scia di Dolce Vita. I caffè di Via Veneto e lo sguardo seducentemente storto di Brigitte Bardot.

Witchbanger, unico strumentale del lotto, chiude il cerchio, partendo per lo spazio.

Come gli Hawkwind in gita di piacere, emette rigurgiti dopo aver solcato la Via Lattea.

 

Franco “Lys” Dimauro

 

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