PAINT FUMES – What a World (Get Hip)  

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Parzialmente più misurato rispetto ai due dischi che lo hanno preceduto, What a World conferma i Paint Fumes come una delle band più vitali del catalogo più recente della Get Hip e li definisce, soprattutto nella seconda metà della scaletta, dove sfila una terzina di canzonette sgangherate come Neon Sign, Heavy Night e la bellissima Getting Stronger, come eredi naturali dei Black Lips.

Il terzetto della North Carolina ci insegna oggi che possiamo ancora godere di piccolissime cose per almeno due o tre minuti al giorno. E che lo ripetono una dozzina di volte, fino a costruire un rifugio alle miserie dell’ordinario, semplicemente con due chitarre e una batteria.

Perché less is more, come affermava Robert Browning.

E a volte dire di più non è affatto necessario.   

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro

SMALL FACES – Odgens’ Nut Gone Flake (Immediate)  

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La Odgen’s Tobacco Company era una grossa fabbrica di tabacco stanziata a Liverpool nel 1860. Produceva un manufatto di buona qualità e lo commerciava dentro scatole di latta da una libbra che, una volta private del loro contenuto, diventavano degli astucci ergonomici dove poter allestire il proprio “kit di sopravvivenza”: cartine, filtro, qualche tocchetto di fumo, all’occorrenza qualche pastiglia di anfetamina. A quelle straordinarie scatole rotonde si ispirò Ronnie Lane per la copertina che doveva racchiudere le “fumose” registrazioni frutto dei dieci mesi di lavoro agli Olympic Studios. L’idea, costosa ma acuta, di realizzarla in formato rotondo investendo parte dei proventi ottenuti con lo straordinario successo di Itchycoo Party, il formidabile singolo del 1967, fu invece di Andrew Loog Oldham.

Era così che, il 24 maggio del 1968 faceva il suo trionfale ingresso in scena Odgens’ Nut Gone Flake.   

In assoluto l’apostrofo dalla vita più movimentata della storia del rock.

Finito in due posti diversi già al suo debutto. L’edizione originale Immediate lo riporta dopo la esse in copertina, prima della esse sullo sticker attaccato al disco. Negli anni negozianti, editori, giornalisti, blogger lo sposteranno a loro piacimento. Ma, comunque sia, Odgens’ Nut Gone Flake tornerà, e spesso, a far parlare di se.

È il disco con cui notoriamente gli Small Faces diventano adulti, assieme a tutti i loro coetanei inglesi. Che negli anni Sessanta si diventa grandi tutti insieme.

Gli abiti si fanno sempre più eleganti, i toni leggermente più malinconici, il guardaroba sempre più sgargiante, l’arredamento sempre più inglese. È l’Inghilterra sotto il regime del Sergente Pepe, per capirci.   

Odgens’ Nut Gone Flake rientra in pieno in questa categoria. È l’approdo a quella ampollosità che da molti, non da me, viene visto come il definitivo punto di attracco  delle vecchie beat-band. Musica che ha sostituito la foga sempliciotta e ruspante dell’adolescenza con concetti e tecniche più elaborate dandole un’aura di grandeur che dovrebbe garantirle l’immortalità. Talmente sofisticate che, come nel caso della formazione di Londra,  ne decreterà la crisi artistica degli autori nell’impossibilità di riprodurle dal vivo in maniera credibile se non sfruttando a proprio vantaggio gli artifici di uno studio televisivo. Cosicché fu solo alla BBC, in tarda serata, che le nuove canzoni della band inglese poterono essere presentate ad un pubblico che, per forza di cose, non era esattamente il loro.

Io, a questi Small Faces un po’ bizzarri e ovattati preferisco invece gli Small Faces più scattanti e maleducati dei primi album. Quelli che pagavano ancora pegno alla musica nera e che tuttavia erano in grado di mettere in piedi un repertorio autonomo fumogeno e raffinato allo stesso tempo. Senza le nebbie che sembrano avvolgere le pigre e indolenti domeniche londinesi di cui cantano in uno degli episodi più ricordati di un disco che trasforma in alta sartoria ciò che io amavo nelle sue vesti straccione.

 

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro