COLDPLAY – Everyday Life (Parlophone)  

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Un doppio album, diviso in una Sunrise-side e in una Sunset-side, con una ouverture di violini che dà già la misura di grandeur con cui i Coldplay si sono approcciati a questo loro concept-album destinato a diventare il Mellon Collie di Chris Martin e soci. Almeno a metà. Perché qui più che la dimensione onirica che l’analogia potrebbe suggerire affiora invece, scusate l’ossimoro, un tuffo nella realtà.

La vita di tutti i giorni, insomma.

Grigia come la copertina.

Ma anche con un salto salvifico verso la fede, una proiezione ortogonale della speranza che fluttua tra puro misticismo e una più concreta sensibilità ecologista. Proteggere la casa terrena in attesa di costruire una casa ultraterrena.

Lo spaziosissimo contenitore di Everyday Life permette alla band di argomentare senza freni, facendo convivere tutte le sue anime e innestandole con una trasversalità culturale che, e non sembri un confronto irragionevole, è assimilabile a quella del nostro Lorenzo Cherubini. Ascoltare Arabesque per credere: l’incontro con Stromae è del tutto affine a quello tra Jovanotti e Michael Franti.

Ci sono i Coldplay riconoscibilissimi, leziosi e supponenti di Orphans e Champions of the World, quelli che marciano come soldati sotto l’arco di trionfo, ci sono i soliti Coldplay che sanno di abeti e salici piangenti di Everyday Life e Daddy e anche i Coldplay spettrali di Ghost Stories ma ci sono anche dei lunghi sipari in cui il gruppo gioca col blues, col gospel, con il soul, con la musica del terzo e del quarto mondo, riducendo spesso il dialogo a quello intimo di una chitarra acustica o comunque di un unico strumento portante nel tentativo di non rendere indigesto un pasto che però ha obiettivamente un eccesso di portate.

Del resto molti lo regaleranno la vigilia del Natale prossimo venturo, no?  

 

                                                                                               Franco “Lys” Dimauro