DIABOLICO COUPÉ – Little Carmine (Area Pirata)  

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Nelle mie memorie infantili il Diabolico Coupé è una delle strabilianti vetture che partecipavano alle Wacky Races, le corse pazze in cui Dick Dastardly figurava da eterno e borbottante perdente.

Meritando tutto il mio amore.

Ormai in disuso da diversi anni, pare che il Diabolico Coupé sia tornato a vita nuova in un officina piacentina, tornando a gareggiare a suon di chitarre tremolanti. Tanti concerti e poche sortite discografiche. Questa pubblicata da Area Pirata è la seconda uscita “ufficiale” per la band che raccoglie criminali già conosciuti sotto i nomi di Morticia’s Lovers, Hermits o Supereroi. L’assemblaggio della macchina è semplice ed efficace: surf-music, exotica, frat-rock. Se è roba che amate e viceversa non amate le chiacchiere, questo disco è perfetto per voi. Pistoni e tavole da surf a go-go. Raschiate dal barrito di un sax, rigate dalle unghiate di una chitarra. Un Diabolico Coupé che corre nella sua pista fra il deserto e il mare, portandovi fuori dal percorso che ogni giorno alle otto vi conduce a lavoro e alle diciassette vi riporta sul divano di casa.

   

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

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EUROBOYS – 1999 Man (Man’s Ruin)

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Gran nome di merda Euroboys, ne convengo.

Roba che se lo dite all’amico del cuore penserà che vi siete messi in casa la compilation con le musiche delle veline. Che poi non sono manco male. Le veline, intendo.

Eppure l’ego smisurato di mr. Euroboy, già variopinto chitarrista dei Turbonegro, deve aver deciso per tutti.

Giusto un plurale che allunghi un po’ le travi del tetto per ripararsi tutti, niente di più.

Peccato, visto che dentro l’apparente anonimato della sigla gli Euroboys tirano in tavola alcuni dei più bastardi assipigliatutto del pop di questi ultimi mesi. Hanno classe da vendere, questi scandinavi del cazzo.

Hanno la capacità di risolvere con abilità melodica e timbrica anche la pià scontata delle canzoni. Ascoltate il ponte che traghetta Part Animal dal terzo al quarto minuto, per farvene un’idea.

Ammicca, ma con gusto eccelso.

La title track sprigiona energia, figlia del power rock più bambino e banale che ci sia. Riffone da potenziometri a fondo scala, politicamente col-retto.

A seguire Ballad of Kirk and the Jerks, liquida sequenza per celluloidi, scivola languida lasciando una scia di Dolce Vita. I caffè di Via Veneto e lo sguardo seducentemente storto di Brigitte Bardot.

Witchbanger, unico strumentale del lotto, chiude il cerchio, partendo per lo spazio.

Come gli Hawkwind in gita di piacere, emette rigurgiti dopo aver solcato la Via Lattea.

 

Franco “Lys” Dimauro

 

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AA. VV. – Slow Grind Fever Volume 1 & 2 (Stag-O-Lee)  

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Se abitate nei dintorni di Melbourne, ogni ultimo Sabato sera del mese dopo le ventuno potete salire in cima al Tote Hotel di Collingwood e spassarvela con la vostra pupa (se siete monogami come la religione cattolica impone) al suono della musica più sensuale degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta: lo Slow Grind.

Exotica, soul, popcorn, R ‘n B, doo-wop, rock ‘n’ roll, jazz da balera.

Se volete divertirvi a distanza, e anche in anticipo (magie del jet-lag e, soprattutto, della Rete), qualche giorno prima dell’evento potete “sintonizzarvi” su www.slowgrindfever.com e scaricarvi i mixes con una selezione di quanto Richie, Pierre e Mohair Sam sparano tra i salotti del locale. 

Sono proprio Richie1250 e Chris “The Wolfman” Sick (di Stay Sick, altro appuntamento imperdibile, stavolta via etere, ogni seconda Domenica del mese, dopo le undici di sera, su Radio Reverb di Brighton, NdLYS) a curare i primi due volumi della saga Slow Grind Fever, pubblicati in vinile dalla Stag-O-Lee e adesso messi in stampa unica su supporto digitale.

Musica fumosa per donne dai lunghi bocchini e uomini dai musi torvi.

Un giro intorno al mondo (per l’Italia rappresentano i fratelli Santo & Johnny Farina, cuori a tre fasce verticali trapiantati nella terra dalle tredici righe orizzontali) alla ricerca di canzoni e atmosfere perdute tra chitarre hawaiane, mambo sudamericani, tramonti western, crepitii sinistri (il favoloso riff di Caterpillar Crawl poi rubato dai Cramps per la “loro” Garbage Man), sermoni pagani, improbabili canti di dolore (la fantastica Lilly‘s Lament tratta da Cha-Cha-Cha Boom!) e rumbe appassionate.

Occhio al mercurio, che si alza.

E non solo quello. 

 

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

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CORNELIUS – Point (Matador)

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Nutro una cordiale antipatia per i giapponesi.

Malgrado abbiano inventato Goldrake e estremizzato il concetto di bukkake, ciò non è bastato a farmeli venire simpatici.

Ma è un limite mio, come per quelli che amano Marilyn Manson.

Ma un occhi a mandorla che è ossessionato dai fantasmi di Music Machine, Count Five, Beach Boys o Clash piuttosto che da quelli di Caterine Deneuve o Fellini deve avere qualcosa di più che una scorta di rullini Kodak e Fuji nel suo zainetto a tracolla e non deve essere così terribile accompagnarsi ai suoi dischi. Che vivono, è vero, di quell’inconfondibile aria di déjà vu che tracima copiosa da gran parte delle produzioni del Sol Levante ma che qui, invece che diventare parodia, viene riassemblata in un contesto dalle forme nuove.

Se insomma i dischi dei Pizzicato Five possono paragonarsi a quelle famose bombolette con su scritto “aria di Napoli”, quelli di Cornelius sono magari delle matrioske di Mamma Russia, dove se vuoi puoi nasconderci dentro anche un tocchetto di fumo. Detto questo, Point è un disco meno “esagerato” rispetto alle passate produzioni di Cornelius, con frequenti richiami alla natura ed ai suoi rumori, dai cinguettii di Bird Watching at Inner Forest al gorgheggiare di Drop, fino al liquido scorrere di Tone Twilight Zone, crepuscolare come il titolo suggerisce, quasi alle soglie del raccoglimento ambient. Acustico e farcito di beeps, lo ricorderemo magari come l’album new-age di Keygo, se riusciremo a cancellare il ricordo delle stilettate di I Hate Hate, e non saremo distanti dall’essenza del disco, che Cornelius ha voluto quasi spartano, se confrontato con la risaputa abilità del nipponico al taglia e cuci sintetico.

 

Franco “Lys” Dimauro