L’ultimo disco che vede lavorare in coppia Chris Bailey e Ed Kuepper esce ad appena un anno e mezzo dal debutto accecante di (I’m) Stranded ma è lontano anni luce da quello. Una distanza che, seppur mitigata da alcuni esperimenti tentati su Eternally Yours, rimane comunque estesissima.
Come avrà modo di ammettere Kuepper a riguardo, i Saints avevano già raggiunto la perfezione rock ‘n’ roll con il disco di debutto. Tutto ciò che avrebbero potuto dire su quel piano stilistico, sarebbe stato superfluo. Il suo interesse si era adesso spostato verso la musica nera e, con un termine ancora sconosciuto, il crossover. Ovvero il tentativo di fondere il jazz e il R&B con la musica rock. Un esperimento che parte da questo disco per venire poi sviluppato in maniera più interessante e anche più radicale nei Laughing Clowns.
Prehistoric Sounds però, nonostante il fondotinta nero usato per farlo apparire una credibile messinscena del Cotton Club, è un disco pallido che manca anche di quel cinismo che rendeva il disco precedente pernicioso e mordace quanto e forse più del debutto. E se quello era il disco di un gruppo arrabbiato, questo terzo album è il disco di una band rassegnata e pronta a lasciare il tavolo da gioco, costretta a tingere la sua musica di arie western (Swing for the Crime), boogie-woogie (Crazy Googenheimer Blues) o mariachi (Every Day‘s a Holiday, Every Night‘s a Party), a mascherarsi da negretti sorridenti (le cover di Security e Save Me) pur di portare a casa la pagnotta, come i peruviani costretti a suonare il flauto andino agli angoli delle strade. Un po’ come il Bowie di Young Americans e i Doors di The Soft Parade.
Le uniche due cose da salvare sono la tenebrosa Brisbane ammantata di esalazioni stoogesiane e quel picco di luce che è Looking for the Sun.
Una infilata dentro il disco, una fuori da esso.
Franco “Lys” Dimauro
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