35007 – 35007 (Stickman)

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L’astronave 35007 riprende il suo viaggio dopo aver fatto approdo su Marte e lasciato lì un membro dell’equipaggio. Da quando la navicella Monster Magnet è rientrata sulla Terra, è rimasta solo lei a circumnavigare le orbite stellari, piroettando follemente dove nessuno osa più fare.

Nei negozi lo troverete di certo sugli scaffali “stoner”.

Fa comodo a tutti ma non rende giustizia alla più GRANDE space band ancora in piena espansione.

Il nuovo EP interamente strumentale è un’orgia di rock stellare, enorme buco nero colmo di magma cosmico.

Van Braun è una cavalcata vorticosa e superelettrica percorsa da algidi sintetizzatori molto Hawkwind e chitarre dilatate, un superstooge maestoso, pachidermico.

Artificial Intelligence tracima dalle parti di Tab, il capolavoro space rock dei Monster Magnet, mantrica e avvolgente, con una bass line satura a fare da propellente per un effluvio di rivoli elettronici ed elettrici. Sea of Tranquillity è l’approdo su Giove, nove minuti di estatiche, espanse, dilatate radiazioni soniche, la superficie planetaria che si deforma sulle pareti vitree della cabina di pilotaggio, le luci di bordo accese di un rosso fuoco lampeggiante, il vuoto d’aria che ci inghiotte come palle da biliardo. Mai nessuno vedrà mai tutto questo…mai nessuno ve…bzz….tto…..zzzz…sto…..mai______bzzzzzzzzzz_______rà_______tu______bzzzz___ma__

 

Franco “Lys” Dimauro

 

 

UNWOUND – Leaves Turn Inside You (Matador)

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La sensazione di avere tra le mani un disco importante è immediata: CD doppio con sezione interattiva chiuso in una confezione nero-funerale. E così quello che i posteri si affretteranno ad etichettare come il black album degli Unwound ti mette già in uno stato di eccitato imbarazzo incuneato tra curiosità ed inquietudine. Dunque un doppio. Facile andare con la memoria a dischi come London Calling, Zen Arcade o Metallica. Ovverossia, in campi diversissimi ma assimilabili per “spessore” e risultati, i dischi dello scarto stilistico, del non-ritorno, della rottura. Quelli dopo i quali, per intenderci, se torni indietro hai perso la tua sfida. In contesti simili, invece, un percorso musicale vicino a quello dei Blonde Redhead. Analoghe le radici, affondate nell’humus sonicyouthiano, analoghi i percorsi evolutivi dei rispettivi ultimi lavori. A dieci anni esatti dal suo esordio, il terzetto di Olympia reinventa dunque il proprio suono, operando una scelta che, oltre a quella dei gemelli Pace, è vicina a quella di bands come Flaming Lips o Mercury Rev.

Leaves Turn Inside You ha dunque un peso specifico notevole, sicura pietra di paragone per il suono indie degli anni a venire. Dentro, il suono degli Unwound si carica di sensualità new wave, si mette a nudo, scioglie la matassa rumorosa in cui viveva immerso per creare nuove spirali, filamenti madreperlati come sottili schizzi di sperma su un ventre ben modellato. Look a Ghost riporta con la memoria ai migliori fIREHOSE, mentre un pezzo come Treachery rende plausibile l’accostamento ispirativo con la melodia dei limoni dei Redhead, epilessia nervosa e scura. Due brani immensi. Il secondo disco acuisce l’anelito sperimentale che permea il nuovo suono degli Unwound, il nervosismo si stempera in soluzioni eteree (Below the Salt, One Lick Less) oppure dilatate e pigre (Radio Gra, October All Over con un ghirigori chitarristico davvero eccellente o Summer Freeze ancora vicina ai Blonde Redhead) e trovando infine una via di fuga nell’estemporaneo dixie posto a suggello, nient’altro che un divertissment, un siparietto posto a sigillo del primo importante disco pop del nuovo millennio.

 

Franco “Lys” Dimauro

 

THE FLESHTONES – Solid Gold Sound! (Fantastik)

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Vera e propria istituzione del rock ‘n’ roll americano, in giro ormai da un quarto di secolo, i Fleshtones non hanno più molto da dire che non abbiano già detto. Sanno scrivere canzoni discrete (più Keith Streng che Peter Zaremba a dire il vero…) imbottite di una estetica 50’s/60’s volutamente festaiola, talvolta ai limiti col trash (ascoltate qui il disco-beat di Good Good Crack, ad esempio).

Un gruppo da party.

Forse il migliore sulla piazza.

O perlomeno quello con le radici al posto giusto. Ma non molto di più. I loro dischi, ad eccezione del grande Roman Gods, non sono di quelli imperdibili. Divertono, ti fanno passare una mezz’oretta in allegria (o poco di più, questo viaggia sui 36 min), magari ti aiutano a “svoltare” una festa (purché non abbia invitato i soliti rompicoglioni che si affollano davanti allo stereo alla ricerca dell’ultimo afrorubbadubjungleeasypostnoizremix firmato da DJ Pisello d’Acciaio, NdLYS) ma non molto altro. Che poi sarebbe anche ingiusto pretenderlo. E che vorreste, che Peter si togliesse il parrucchino e, dopo essersi fatto un tatuaggio tribale sul cranio, si tramutasse nel figlio di Sun Ra? Ma per favore…Così anche questo nuovo disco fila via veloce, ti mette addosso un po’ d’allegria e si toglie dalle palle. Sempre meglio di 75 noiosissimi minuti di teorie post-rock sul ruolodellasezioneritmicaallinternodelle strutturemusicalidiimprontafreejazzmaconpossibili evoluzioniinambitorockediricerca sulladissonanzaarmonica e bla bla bla…

 

Franco “Lys” Dimauro

BECK – Mellow Gold (Geffen)

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Nei primi anni Novanta l’universo giovanile si popola di perdenti.

Sono i figli dell’insicurezza emotiva e del fallimento dell’istituzione-famiglia.

Ventenni cresciuti tra le macerie di separazioni, divorzi, violenze domestiche, suicidi.

Layne Staley, Eddie Vedder, Kurt Cobain, Perry Farrell, Trent Reznor, Billy Corgan appartengono a questa generazione X cresciuta senza affetti e senza punti di riferimento.

Beck Hansen pure.

Cresciuto imparando a memoria un vocabolario di parole da quattro lettere sulle quali costruisce le prime canzoni: The FUCKed Up BluesSoul SUCKed DryFeel Like a Piece of SHITToday Has Been a FUCKed Up dayFUCKin with My HeadMotherFUCKerSoul SUCKin Jerk.

Quella destinata a cambiargli la vita ha però una lettera in più: Loser.

Una condizione cara ai folksinger di ogni generazione ma stavolta, e qui sta tutta la forza di quel brano, sbandierata con una fierezza tutta nuova carica di quella superbia temeraria e teppista che i nuovi tempi impongono.

Sono un perdente, piccola. Perché non mi uccidi, dunque?

Soy un perdedor! Te lo canto anche in spagnolo, qualora non fossi di queste parti e potessi non capire.

?on imidiccu arolla ,ybab etnedrep nu onos, rodedrep nu yoS. Te lo dico al contrario, visto che mi guardi storto.

Sprechen sie Deutsche, baby? Parli tedesco, piccola? Perché vorrei ti fosse chiaro.

Sono un perdente, ma alla fine sarai tu a perdere. È quello il concetto che fa di Loser una canzone “vincente”. Oltre al fatto di essere una perfetta folk-song dell’era moderna, l’età dei sampler (in questo caso il drum beat di I Walked on Guilded Splinters nella versione di Johnny Jenkins e un dialogo da Kill the Moonlight di Steve Hanft che della canzone realizzerà anche il delizioso video) e delle parole sputate in faccia dai rapper.

Mellow Gold è abitato da questo spirito deforme dove convivono armoniche a bocca e piatti, chitarre slide e rumori assordanti, requiem psichedelici e bizzarre girandole artificiali come l’odissea sintetica che chiude a sorpresa il disco.

Con gli spettri di Syd Barrett e di Donovan che stanno a guardare come andrà a finire.

Tifando una volta per Dylan, una volta per Morrissey.

Finendo per perdere entrambi.

I’m a loser, baby. So…why don’t you kill me?

                                                                                              Franco “Lys” Dimauro

 

THE JESUS LIZARD – Bang (Touch and Go)

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I Jesus Lizard sono stati IL GRUPPO degli anni novanta. Nervosi, spiritati, catastrofici, taglienti, claustrofobici. Portarono il “noise” (ve lo ricordate ancora? O vi siete addormentati definitivamente dopo l’ennesimo ascolto dei solfeggi post dei Mogwai? NdLYS) al suo apice. Lo spinsero su, percorrendo le pareti scoscese del rumore, su su, in alto, fino a lasciarlo in bilico sul baratro, in una situazione da catastrofe imminente. Erano questo, i Jesus Lizard, prima che un disastroso contratto con la Capitol li ammansisse fino a ridurli alla parodia del loro stesso furore. Lo scioglimento che ne seguì fu l’emblema di un collasso che avrebbe affondato un’intera scena di massacratori del rumore. 

Bang (quattro lettere, ancora e per l’ultima volta) è l’epitaffio più congeniale per un gruppo estremo come quello di David Yow.

Uno sparo.

Anzi, tanti spari quanto sono quelli raccolti dalla Touch and Go per salutare il commiato del Cristo Lucertola. In mezzo a singoli, inediti e tracce live, lampeggia il genio folle di un gruppo che ha saputo far scoppiare il rock comprimendolo dapprima in un minimalismo sofferente per poi farlo sprigionare in un’eruzione catartica terrificante.

Prezzo da “invito all’acquisto”.

Se non lo comprate avete proprio appeso cuore e cervello all’albero della cuccagna.

Franco ‘Lys” Dimauro