THE WARLOCKS – Heavy Deavy Skull Lover (Tee Pee)    

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HDSL è un disco drogatissimo, un Amnesiac di area shoegaze in cui la psichedelia viene maltrattata e brutalizzata, dilatata e vampirizzata. Cancellate per un attimo quanto conoscete già dei Warlocks perché qui si viaggia su un asse obliquo, trasversale. Dopo la sovraesposizione “sofferta” suo malgrado dall’uscita di Dig! In poi Bobby Hecksher ha scelto di scappare dal mondo del pop (cosa ci sarebbe voluto, del resto? Sarebbe bastato amplificare una certa eco Cure che sembrava alitare sui loro dischi o solcare sul taglio Jesus & MC di una Baby Blue qualsiasi, NdLYS) sfoltendo le fila del gruppo fino a ridurlo ad un quartetto e cercando rifugio altrove. HDSL racconta questa fuga e lo fa come se fosse una discesa all’inferno, tra gironi di anime dannate che ciondolano al ritmo pigro del kraut-rock e della psichedelia al rumore bianco di velvetiana memoria.

C’è una strana atmosfera da luci al neon da reparto psichiatrico in quest’album, un’aria di malessere e un pallore che non sono ne’ adolescenziali ne’ casalinghi ma brutalmente plateali, universali. Come negli undici minuti di collasso fuzz del requiem sepolcrale Moving Mountains, nello scrosciare deforme di Interlude in Reverse o nella narcosi onirica di Dreamless Days in cui la tipica “discesa” shoegaze ha un che di ferale, di terminale. Una psichedelia stordente, malata. Non liquida e niente affatto solida. Granulare, piuttosto. Una sedimentazione di scorie adulterate che si depositano su questo greve strato di rumore cosmico che piacerebbe al John Cale malato di We Will Fall (Death, I Hear You Walking) o al druido “Droolian” Cope (So Paranoid).

È un disco dove morte, zombie e paranoia sono le parole ricorrenti, dove si fondono gli ectoplasmi di Oneida, Spacemen 3, Mogwai, Dead Meadow, My Bloody Valentine, Breathless, Pink Floyd, Radiohead (l’apertura suona come una greve I Love Her Still degli Outsiders sfigurata da Thom Yorke, NdLYS) e tutto assume un’aria di gotico decadentismo psichedelico, di sofferenza cruda e mai così disperata prima d’ ora. Maneggiate con cura, anche se siete già degli iniziati.

                                                                                  Franco “Lys” Dimauro

MALE BONDING – Nothing Hurts (Sub Pop)

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Chi ci sente dentro i Dinosaur Jr, chi gli Hüsker Dü, chi i Nirvana, chi i Sonic Youth.

Cazzo, mi dico, vuoi vedere che è arrivata l’indie-band definitiva e me la sto perdendo?

Così contatto il distributore locale che provvede ad inviarmi un file con la zip, come i jeans Carrera.

Estraggo i file, proprio come si fa col pisello dalla lampo, e ascolto.

Parte il primo pezzo e mi sembra di sentire i Flatmates di Happy All the Time.

Poi è la volta di All Things This Way ed ecco affiorare i Vaselines di Dying for It.

Va be’, mi dico… tutto sommato anche Kurt Cobain aveva un’ossessione per Frances McKee…in fondo si tratta solo di preparare il terreno.

E invece Your Contact, il pezzo successivo, suona come se le Shop Assistants eseguissero lo Spiral Scratch dei Buzzcocks.

Il gioco è scoperto: nessuno ha ascoltato Nothing Hurts. O, chi lo ha sentito, lo ha fatto facendo altro. Perché il disco scorre si pieno di riferimenti, tanti: Tall Dwarfs, Velocity Girl, Wipers (l’uso stratificato delle chitarre), Pastels, Starfish (gli hook melodici), Pains of Being Pure at Heart, Flaming Lips (le armonizzazioni vocali), Vivian Girls…ma non c’è traccia di quei pachidermi che fecero la storia del rock Americano degli anni Ottanta e Novanta, del suono della SST o della vecchia scuola Sub Pop per capirci.

Piuttosto tanta roba inglese anni Ottanta post-Psychocandy rivista, quando occorre (T.U.F.F., Pumpkin), con qualche frastagliata slabbratura post-hardcore.

La solita storia del pop infilato dentro il Bimby assieme alle chitarre raunchy e alle fragoline di bosco insomma. Perfettamente innocuo per chi aveva già dato per spacciati i Jesus and Mary Chain con l’uscita di Some Candy Talking. Per chi allora invece non era ancora nato, ovvero quella fetta di mercato dei ventenni di oggi cui Nothing Hurts si rivolge e che è la stessa che oggi si svena per gruppetti come Crystal Stilits o Dum Dum Girls, il debutto dei Male Bonding si veste di evento.

Ma delle tossine che si rovesciavano fuori da Bleach”, Bug, Metal Circus o Bad Moon Rising, per carità di Dio, qui non è rimasta nemmeno una molecola.

                                                                                                          Franco “Lys” Dimauro

 

THE BIDONS – GranmaKiller !!! (Area Pirata)

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Breve e veloce. Come una sveltina in ufficio. Dove magari è il vestitino giusto a fare la differenza. In questo caso è un bel completino anni Sessanta. Scomposto quel tanto che basta per vedere la carne che sale fino all’inguine.

Poi magari viene fuori una scopata come tante altre.

Accade però che dentro le mutande, è risaputo, non c’è il cervello. Quindi neppure memoria. Ed è quindi l’istinto a comandare  tutto, per il diletto della Granma di turno e di noi che alla fine alla sveltina non chiediamo di più.

L’associazione di idee vale anche sul piano auricolare. Se usi il cervello per fare i calcoli GranmaKiller!!! lo puoi pure ricopiare da qualche espressione già svolta. Se invece lo usi per godere, come faccio io, ti passi la tua mezz’oretta felice e hai risparmiato alla famiglia le notizie del TG.

Il debutto dei campani Bidons è un campionario di riff garage già sentiti, e non basta siglarle “2009” per renderle moderne. Lo sanno loro, lo sappiamo noi. E del resto, a cosa servirebbe? GranmaKiller!!! è stato costruito per divertire, lo si percepisce dall’approccio del gruppo che non è cazzone ma neppure ostinatamente purista da scassare i maroni. Del resto pensate che Night Time degli Strangeloves (una delle due cover che accompagnano i pezzi del gruppo) fosse stata creata per un obiettivo diverso da quello con cui sia stato tirato su GranmaKiller!!!?

E i tre punti esclamativi per qualcos’altro che non sia farmi folleggiare alla tastiera del pc?

E le donne per cos’altro se non per renderci la vita meno amara, Merkel esclusa?    

                                                                                    Franco “Lys” Dimauro