GIARDINI DI MIRÒ – Different Times (42) / MARCO BRAGGION – Different Times (Crac Edizioni)  

Portano lo stesso identico titolo il nuovo album dei Giardini di Mirò ed il libro che ne racconta la storia certamente ancora molto più breve di quella del pittore spagnolo cui rimanda il loro nome ma tuttavia ormai già più che ventennale. L’album vanta delle collaborazioni illustri come quelle di Robin Proper-Sheppard e Glen Johnson, artisti vicini per sensibilità ed affinità artistica entrambi amatissimi dal gruppo emiliano e, potete contarci, dalla totalità del loro pubblico.

Giardini di Mirò sono uno di quei gruppi che rivelano pur senza volerlo di che brutta pasta è fatta la critica musicale italiana. Nessuno riesce a parlare male del gruppo emiliano (e perché si dovrebbe?) salvo poi, ad ogni nuova uscita, rivelare o lasciar intendere che il disco nuovo ricuce una qualche ferita lasciata da quello precedente. Aperta non si capisce bene dove, visto che la volta precedente lo stesso disco era il capolavoro del momento. Insomma, la classica giostra della piccola critica italiana sempre pronta a calarsi le braghe pur di vendere una riga e mezza di pubblicità, a togliersi il sassolino dalla scarpa quando nessuno più guarda ne’ la scarpa ne’ il sassolino.

Sono certo che sarà così anche stavolta. Ma non ho intenzione di verificare. Se ancora leggete quelle quattro stronzate che hanno una data di scadenza più breve di quella della crescenza, fate voi.

Veniamo a Different Times, il disco.

Premetto che mi viene inviato senza molto entusiasmo in formato “liquido” (ne’ analogico, ne’ digitale. Liquido, come la pipì) e che dunque lo ascolto, contravvenendo ad una delle mie poche regole fondamentali, dal pc. Come un qualsiasi ragioniere mentre prepara le buste paga per i colleghi. Lo scrivo non perché questo mi disponga male nei confronti del disco (cioè, è ovvio che sono mal disposto ma non è questo il motivo per cui lo scrivo) ma perché la resa sonora non rende giustizia alla band, alla sua storia, alla sua delicatezza, al suo rigore. Tutta roba di cui si fa un gran parlare ma che in realtà non interessa che pochissime persone. Io sono tra queste, purtroppo. Lo scrivo per proteggere la band. Perché se lo merita, anche se sono certo che anche loro si siano Baumanamente liquefatti ed assuefatti a questi piccoli crimini che permettono alla musica di viaggiare nel cyberspazio e di accatastarsi in piccole montagne di gigabyte ad impatto zero. Ad impatto zero davvero.

Però voi che avrete modo, a tempo debito, di ascoltarlo su un vero impianto audio ne trarrete grande giovamento. La magia filmografica del gruppo è intatta. E un che di liquido, anche musicalmente, la loro musica l’ha sempre avuta. Canzoni senza fulcro, prive di perno, che non si agganciano alla memoria ma la circuiscono, la insidiano, le si avvolgono addosso.  

In qualche modo il tema della “ferita”, torna in maniera/e diversa/e, sul libro di Marco Braggion. Ne parla l’autore e ne accenna Carlo Pastore nella bella introduzione al volume. Perché, e inoltrandosi nel libro se ne ha sempre maggior contezza, i Mirò nascono proprio da una ferita. Nascono proprio leccando il sangue di quell’ultima ferita che consegna il rock alla storia e apre i cancelli alle musiche degli anni 00, quella di cui si nutrirà una nuova generazione di ascoltatori che col rock avrà più o meno lo stesso legame che la mia ha con la lirica. Sono gli anni del post-rock. Del rock che fa a meno della fisicità, del riff-martello degli dei o del riff-ghigliottina. Un rock che si raggomitola su se stesso e che, come dicevo, diventa liquido, si infratta. Non più roccia ma muschio sulla roccia. Different Times, il libro, è un lavoro certosino e pieno di meraviglia. Un viaggio dentro il mondo dei Mirò in cui Marco Braggion si prende la briga di incontrare personaggi, analizzare dischi e testi, raccontare storie e aneddoti, offrire una cronologia dettagliata della loro storia, come se fosse quella di una delle più grandi band mai esistite, una di quelle che sgomitano per finire in cima alle classifiche, che organizzano le reunion per potersi pagare la coca o le cure del dietologo.

I Giardini se lo meritano.

Noi che li abbiamo amati mentre il mondo guardava altrove, pure.     

 

                                                                                              Franco “Lys” Dimauro

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